Guerre e fake news, così la disinformazione corre online
Secondo un’indagine di NewsGuard, gli utenti “verificati” con la spunta blu su X sono responsabili del 74% delle più popolari affermazioni false o infondate sul conflitto Israele-Hamas
di Redazione
Dinanzi a contesti di guerra il rischio di imbattersi in notizie false, fake news come solitamente le chiamiamo oggi, aumenta. È una circostanza che si è sempre verificata attraverso comunicazioni mirate e propaganda, ma che la società di oggi sta sperimentando attraverso la diffusione alla velocità della luce di voci (spesso infondate) e notizie (di non sempre facile riscontro) che avviene sulle piattaforme social. Situazioni di questo tipo si sono verificate fin dai primi mesi di guerra in Ucraina e allo stesso modo si osservano ora nell’ambito del conflitto tra Israele e Hamas. Secondo un’indagine di NewsGuard, gli utenti “verificati” con la spunta blu su X (ex Twitter) sono responsabili del 74% delle più popolari affermazioni false o infondate proprio sulla guerra in corso tra Israele e Hamas all’interno della piattaforma.
Durante la prima settimana del conflitto, cioè dal 7 al 14 ottobre, NewsGuard ha analizzato i 250 post in lingua inglese con maggiore engagement (quelli che hanno ricevuto più like, repost, risposte e segnalibri) che promuovevano una delle dieci principali narrazioni false o infondate relative alla guerra e incluse nel catalogo dei Misinformation Fingerprints, il database di NewsGuard sulle principali narrazioni false. Stando all’indagine, 186 di questi 250 post – il 74% – sono stati postati da account X verificati.
Le dieci affermazioni false o non comprovate identificate da NewsGuard e condivise da questi account sono: «L’Ucraina ha venduto armi a Hamas»; «Israele ha ucciso 33.000 bambini palestinesi dal 2008»; «un video mostra alcuni bambini israeliani tenuti in ostaggio in gabbie da Hamas»; «un video mostra alcuni alti funzionari israeliani catturati da Hamas nell’ottobre 2023»; «la chiesa ortodossa di San Porfirio a Gaza è stata distrutta dai bombardamenti israeliani»; «un video mostra alcuni combattenti di Hamas che festeggiano il rapimento di una bambina israeliana»; «la CNN ha simulato un attacco missilistico in Israele nell’ottobre 2023»; «un documento della Casa Bianca dimostra che gli Stati Uniti stanno inviando otto miliardi di dollari in aiuti militari a Israele», «in un video, Israele ha inscenato la morte di un bambino da parte di Hamas», «l’attacco terroristico di Hamas è in realtà una false flag orchestrata da Israele o dall’Occidente».
Complessivamente, dice ancora NewsGuard, i post che diffondono queste narrazioni false hanno ricevuto 1.349.979 interazioni (repost, like, segnalibri e risposte) e sono stati visti in totale più di cento milioni di volte in una sola settimana. Inoltre, è stato rilevato che solo 79 dei 250 post contenenti misinformazione sulla guerra erano stati segnalati dalla piattaforma con una Nota della comunità. Ciò – aggiunge infine NewsGuard – significa che solo nel 32% dei casi circa sono apparse note di fact-checking su alcuni dei post di misinformazione più popolari e pericolosi apparsi sulla piattaforma.
L’indagine si concentra in particolare su X, ma NewsGuard dichiara di avere individuato fake news anche su Facebook, Instagram e altre piattaforme. La disinformazione è anche al centro di un recente rapporto in materia del Censis, secondo cui «se un tempo le fake news erano considerate come il prezzo da pagare alla democratizzazione dell’informazione e gli italiani si dicevano certi di essere in grado di controllare le notizie e di distinguere il vero dal falso, oggi, di fronte alla proliferazione incontrollata delle notizie generata dall’emergenza sanitaria e alle conseguenze che ne sono derivate, cominciano ad emergere paure e timori che si traducono in una richiesta di interventi di regolazione, di sensibilizzazione e di formazione della popolazione». Il 76,5% degli italiani – si legge infatti nel rapporto – ritiene che le fake news sono sempre più sofisticate e difficili da scoprire, il 20,2% crede di non avere le competenze necessarie per riconoscerle e il 61,1% pensa di averle solo in parte. Solo una minoranza del 18,7% ritiene con certezza di essere in grado di riconoscere immediatamente una fake.