I lavoratori delle piattaforme digitali in Italia
Secondo le rilevazioni dell’Istat nel 2022 sono 565 mila. Gli uomini sono più numerosi rispetto alle donne, le classi di età 30-44 e 45-54 anni sono le più rappresentate
di Redazione
Nel 2022, rileva l’Istat, in Italia, 565 mila persone tra i 15 e i 64 anni hanno riferito di aver lavorato per almeno un’ora attraverso una piattaforma digitale nei 12 mesi precedenti l’intervista. Il lavoro basato su piattaforma è più comune tra le persone di età compresa tra 30 e 44 anni (2%), tra gli uomini (1,8%) rispetto alle donne (1,3%), e tra coloro con un alto livello di istruzione (2,6% per laureati e oltre). Tra coloro che hanno lavorato attraverso una piattaforma digitale nell’anno precedente, quasi il 16% (89 mila) ha continuato a lavorare attraverso una piattaforma nelle quattro settimane precedenti l’intervista. Sono i dati principali contenuti nel report dell’Istat Lavoratori delle piattaforme digitali (Anno 2022), laddove per lavoratori tramite piattaforma digitale – spiega lo stesso Istituto – si intendono le persone che hanno svolto almeno un’ora di lavoro retribuita nel periodo di riferimento eseguendo compiti o attività organizzati attraverso una piattaforma digitale o un’app telefonica.
Circa due terzi delle persone interessate – prosegue l’Istat – hanno utilizzato una sola piattaforma, il 22,3% ha utilizzato almeno due piattaforme per la stessa attività, e il 10,1% ha utilizzato più piattaforme per attività diverse. Circa 89 mila persone hanno lavorato attraverso una piattaforma digitale nelle quattro settimane precedenti l’intervista, con caratteristiche simili a quelle rilevate tra chi lo ha fatto nei 12 mesi precedenti: gli uomini sono più numerosi rispetto alle donne, le classi di età 30-44 e 45-54 anni e i laureati sono i segmenti più rappresentati. Tra coloro che hanno lavorato attraverso una piattaforma digitale nelle quattro settimane precedenti l’intervista, la percentuale di inattivi e disoccupati è più bassa rispetto a coloro che l’hanno utilizzata nei 12 mesi precedenti: gli inattivi rappresentano il 5,6% (erano il 18,1% nei 12 mesi precedenti) e i disoccupati il 4,8% (erano il 5,8% nei 12 mesi precedenti). Di conseguenza, gli occupati rappresentano circa il 90%, rispetto al 76,1% nei 12 mesi precedenti.
Rileva ancora l’Istituto nazionale di statistica che le piattaforme digitali sono spesso utilizzate per una serie di attività, tra cui la vendita di prodotti, la consegna di merci (compreso il cibo), la produzione di contenuti (come su YouTube o Instagram), l’affitto di abitazioni, i servizi IT (come programmazione, web design, supporto e moderazione di contenuti online), l’insegnamento, il tutoring, la traduzione, i lavori manuali (come elettricità, idraulica, pittura), i servizi di cura, il trasporto di passeggeri.
Nel contesto della vendita di beni, il 37% delle persone che lavorano tramite una piattaforma sono lavoratori autonomi, con o senza dipendenti. Di questi, quasi la metà svolge principalmente un’attività legata alla vendita di beni (ad esempio, venditori, tecnici della distribuzione commerciale, o professionisti nel settore della ristorazione o delle attività ricreative). In questi casi, la piattaforma viene utilizzata come un canale supplementare a quello tradizionale per la commercializzazione dei prodotti.
Una dinamica simile si osserva anche per la consegna di cibo o altre merci e per l’affitto di abitazioni. Le attività più comuni rimangono le stesse anche con riferimento alle quattro settimane, tra cui la vendita di beni, l’affitto di case o stanze, la consegna di cibo o altre merci, e la creazione di contenuti, che insieme rappresentano oltre i due terzi del totale.
Nelle quattro settimane precedenti l’intervista, registra l’Istat, sono state osservate diverse caratteristiche del lavoro svolto tramite piattaforma digitale. Queste includono l’orario di lavoro, la percentuale di reddito derivante da queste attività, come viene assegnato il lavoro, le conseguenze di rifiutare un incarico, e come vengono stabiliti gli orari e i prezzi. In media, l’impegno orario per il lavoro svolto tramite piattaforma è basso: un terzo delle persone ha lavorato per la piattaforma per meno di un’ora, poco più di un terzo per meno di 10 ore, e complessivamente l’80% delle persone ha lavorato per la piattaforma per meno di 20 ore nelle quattro settimane precedenti l’intervista. Questo dato è in linea con la percentuale di guadagno derivante dal lavoro tramite piattaforma, che per oltre due terzi delle persone rappresenta al massimo la metà del reddito totale percepito nelle quattro settimane (per quasi la metà è meno di un quarto).
Circa il 38,4% delle persone, si legge nel report, ha dichiarato che la piattaforma assegna direttamente l’attività, mentre una percentuale simile (circa il 37%) ha affermato di svolgere l’attività di propria iniziativa. Solo il 18% ha affermato di poter scegliere tra diverse opzioni o richieste di clienti. Il rifiuto di un incarico non comporta alcuna conseguenza per il 53,5% dei rispondenti, mentre il 38,9% ha dichiarato che il rifiuto potrebbe avere conseguenze più o meno gravi, come la perdita del lavoro, la disconnessione dalla piattaforma, la perdita di incarichi importanti o il peggioramento delle valutazioni. In oltre l’80% dei casi, l’orario di lavoro è completamente autodeterminato, confermando l’alta flessibilità che caratterizza questo tipo di organizzazione del lavoro. In poco più del 20% dei casi, il compenso per il lavoro svolto è definito dalla piattaforma (prezzo esatto o range), nel 13,5% dei casi c’è una negoziazione con la piattaforma e in oltre il 60% dei casi è stabilito dal lavoratore stesso (o da un altro soggetto nei casi in cui ci sono tariffe regolamentate).
Il grado di libertà e autonomia nell’organizzazione e gestione del lavoro su piattaforma digitale, conclude l’Istat, è generalmente elevato, anche a causa della natura delle attività prevalenti (vendita di beni, affitto di case, consegna di cibo e creazione di contenuti) e del tipo di lavoratori che, nelle quattro settimane di riferimento, sono prevalentemente autonomi, spesso con dipendenti, e in molti casi con profili che suggeriscono l’uso della piattaforma come canale di commercializzazione dei prodotti che producono o vendono nell’ambito della loro attività lavorativa prevalente.