Usa 2024. Haley non si ritira (e le incognite della sfida di novembre)
Nonostante la sconfitta in South Carolina, Nikki Haley andrà avanti almeno fino al Super Tuesday. Si vota intanto in Michigan. La questione migranti al centro del dibattito
di Fabio Germani
Perché Nikki Haley non si ritira? È una domanda legittima dopo la sconfitta di sabato 24 febbraio in South Carolina, Stato che peraltro ha governato dal 2011 al 2017. Oggi, martedì 27 febbraio 2024, sarà il Michigan a esprimersi in relazione alle primarie repubblicane (votano anche i democratici) e anche qui, secondo la media RealClearPolitics dei sondaggi, l’ex presidente Donald Trump ha molti punti di vantaggio su Haley (69 a 17). Perché, allora, continuare una corsa che nei fatti – il distacco in South Carolina è stato meno peggio del previsto, ma è un aspetto del tutto marginale – si sta rivelando fallimentare? Con ogni probabilità Haley andrà avanti almeno fino al Super Tuesday, in programma il 5 marzo. Ma anche nel caso dovesse riuscire a strappare uno o più Stati a Trump – ipotesi ad ora remota –, qualsiasi vittoria risulterebbe tardiva e inutile al fine di raggiungere il numero necessario di delegati per la nomination di luglio. Dunque, ci stiamo chiedendo ripetutamente, perché?
Le motivazioni potrebbero essere di ampio respiro. Restare sulla scena, rafforzare un messaggio in senso più tradizionale del conservatorismo, dimostrare coraggio, sono tutti elementi che permetterebbero ad Haley di essere più competitiva in un prossimo futuro di quanto lo sia stata finora, soprattutto se a novembre gli americani dovessero decidere di confermare Joe Biden alla Casa Bianca. Ma lo sarebbe anche altrimenti, immaginando un ritorno alla presidenza di Trump, quando alla fine del mandato non sarà scontata una compattezza dell’universo MAGA – ammesso non avvengano stravolgimenti anche su questo fronte – verso un nuovo candidato, ritenuto idoneo a raccogliere il testimone del leader del movimento (un vuoto che forse tenterà di colmare un personaggio come Ron DeSantis, il quale, con il passo indietro a primarie appena avviate, ha deciso di adottare una strategia diametralmente opposta a quella di Haley). In più non va dimenticato un fattore determinante della politica statunitense: i soldi. Haley ha raccolto molto per la sua campagna in questo periodo e sebbene le cronache politiche stiano raccontando di rubinetti ormai chiusi da parte dei suoi principali (e facoltosi) sostenitori, ha ancora qualche asso nella manica da giocare, in contrapposizione alla gestione dei fondi più approssimativa (o destinata in larga misura ad altri usi, come le beghe giudiziarie di Trump) dei rivali.
La questione migranti
Ma il punto è che salvo sorprese (che non possiamo escludere del tutto) la sfida di novembre sarà un rematch del 2020: Biden contro Trump. In generale, la maggior parte dei cittadini statunitensi continua a mostrare uno scollamento tra la percezione dello stato di salute del paese e la realtà, o almeno questo è il quadro che vale sul piano economico, di solito un coefficiente imprescindibile nelle scelte di voto. Ci sono altri argomenti che però stanno assumendo un’importanza sempre più centrale. Tra questi, i flussi migratori in entrata.
La situazione al confine del Texas con il Messico è alquanto incandescente. Il governatore dello Stato, Greg Abbott, ha più volte minacciato (o addirittura attuato) provvedimenti drastici in materia. E la questione è diventata presto motivo di attrito al Congresso, specie alla Camera, dove la maggioranza repubblicana l’ha legata agli aiuti per l’Ucraina, mettendo spesso a repentaglio il sostegno degli Stati Uniti a Kiev nella guerra con la Russia. Lo stesso Biden ha avuto nelle ultime settimane un cambio di registro al riguardo. Anche perché, arriva a suggerire una recente indagine del Pew Research Center, in tanti, anche tra gli elettori democratici, attribuiscono al governo federale le maggiori responsabilità della crisi al confine. Nel complesso la maggioranza degli americani intervistati dall’istituto (78%) afferma che il gran numero di migranti che tentano di entrare negli Stati Uniti dal Messico rappresenta a tutti gli effetti una «crisi» (45%) o un «grosso problema» (32%) da dover affrontare.
Cosa pensano gli americani di Biden
Non è l’unico motivo di dibattito, talvolta aspro. Non tutto, ovviamente, è però riconducibile all’operato dell’amministrazione Biden. Il tema dell’aborto, ad esempio, sarà un tasto cu cui il ticket presidenziale premerà molto in vista delle elezioni di novembre. Ma nel frattempo FiveThirtyEight osserva nella media delle rilevazioni un tasso di approvazione per Biden piuttosto basso – mentre scriviamo al 39,7% –, su valori inferiori anche a quelli di Trump nel medesimo punto del suo mandato. Ma ancora non basta per lanciarsi in previsioni sul risultato finale. La partita è aperta e, se non altro, Nikki Haley sta mettendo in luce quella porzione della galassia repubblicana che rimane tuttora invisa all’ex inquilino della Casa Bianca.
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