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Così la formazione degli adulti in Italia

L’Italia presenta un ritardo nella formazione continua rispetto ai principali paesi europei, osserva l’Istat. Differenze si registrano anche tra le classi di età più giovani

di Redazione

L’Italia, rispetto ai principali paesi dell’Unione europea, mostra un ritardo nella partecipazione alle attività formative tra gli adulti di 25-64 anni. Con un tasso di partecipazione del 35,7%, l’Italia si colloca al 21° posto nell’UE27, quasi 11 punti percentuali sotto la media europea. Questo dato è lontano dagli obiettivi del Consiglio europeo per il 2025, che prevede un tasso minimo di partecipazione del 47%. Sono il 31% i 18-24enni che non partecipano ad alcun percorso di istruzione o formazione, contro il 20,2% della media europea. Manca una motivazione “forte” alla partecipazione: quasi l’80% dei 25-64enni che non si formano non ha interesse a farlo e per gli altri sono spesso i costi elevati a frenare la partecipazione (nel 23,7% dei casi contro il 13,7% della media UE27). A illustrare il quadro è l’Istat nel report La formazione degli adulti – Anno 2022. Al riguardo, è però doveroso un passo indietro: a cosa si fa riferimento per “formazione degli adulti”?

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«La formazione – spiega a tale proposito l’Istituto nazionale di statistica – è un processo continuo di eventi di apprendimento legati al ciclo di acquisizione, applicazione e aggiornamento delle conoscenze e competenze nell’arco della vita (lifelong learning). L’Indagine sulla formazione degli adulti (Adult Education Survey – AES) viene svolta periodicamente da tutti i paesi dell’Unione europea in base a specifici regolamenti che ne definiscono contenuti e modalità di rilevazione e rappresenta una delle fonti principali di dati sulla partecipazione degli adulti ad attività di istruzione e formazione».

Analizzando le attività formative nel dettaglio, l’Istat osserva che solo il 4% della popolazione italiana partecipa alle attività formali rispetto al 6,3% della media europea. Per quanto riguarda le attività non formali, la percentuale sale al 34,1%, ma rimane comunque inferiore al 44% della media europea. Inoltre, l’Italia dedica meno ore alla formazione rispetto alla media UE27 (133 ore contro 144), principalmente a causa del minor numero di ore dedicate all’istruzione formale (405 ore contro 512).

La partecipazione alle attività formative – prosegue l’Istituto nazionale di statistica – è fortemente influenzata da vari fattori socio-demografici, tra cui l’età, il livello di istruzione, il background familiare e la condizione lavorativa. L’età gioca un ruolo cruciale, con una partecipazione che tende a diminuire con l’avanzare degli anni. Dopo i 35 anni, la partecipazione alle attività formali diventa pressoché irrilevante (solo l’1,3% degli italiani oltre i 35 anni partecipa a un corso formale) e anche le attività non formali diminuiscono drasticamente con l’uscita dal mercato del lavoro. Con l’aumento del livello di istruzione, aumenta anche la partecipazione alle attività formative, sia formali che non formali. Questo trend è confermato anche quando si tiene conto dell’effetto dell’età. Inoltre, la partecipazione alla formazione continua aumenta con l’aumento del livello di istruzione dei genitori. Al contrario, il rischio di abbandono precoce del sistema di istruzione e formazione diminuisce drasticamente per i giovani tra i 18 e i 24 anni se almeno uno dei genitori possiede un titolo terziario.

La scarsa partecipazione all’apprendimento permanente tra coloro che possiedono bassi livelli di istruzione pone l’Italia in una posizione di svantaggio nel confronto internazionale, sostiene ancora l’Istat. In media europea, un quarto dei 25-64enni con un basso livello di istruzione partecipa comunque ad attività di formazione, mentre in Italia questa quota scende a meno di un sesto. Tra coloro che possiedono un elevato livello di istruzione, il valore è invece in linea con la media europea (67% in Italia e 66% in media europea).

 

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