La ricaduta della crisi demografica su mercato del lavoro e welfare
L’Istat registra un nuovo record al ribasso per le nascite, che «si inserisce in un trend ormai di lungo corso»
di Redazione
Un nuovo record al ribasso per le nascite. Lo registra l’Istat, l’Istituto nazionale di statistica, riferendo che nel 2023 le nascite sono scese a 379.890, 13 mila in meno su base annua (rispetto all’anno precedente il calo è stato del 3,4%). «Questa diminuzione, che comporta un nuovo superamento al ribasso del record di de-natalità, si inserisce in un trend ormai di lungo corso», si legge nella nota. Per fare un raffronto con il 2008, anno durante il quale è stato registrato il valore più alto dall’inizio degli anni Duemila, l’emorragia di nuovi nati è pari a 197 mila unità (-34,1%).
L’andamento è principalmente attribuibile alle coppie di genitori entrambi italiani: secondo i dati, i nati da genitori italiani, pari a 298.948 nel 2023, sono circa 12 mila in meno rispetto al 2022 (-3,9%) e 181 mila in meno rispetto al 2008 (-37,7%). Meno consistente il calo dei nati tra le coppie in cui almeno uno dei genitori è straniero (80.942): in questo caso la diminuzione è dell’1,5% sul 2022 e del 25,1% sul 2012, anno in cui si è registrato il numero massimo. A diminuire sono state in particolar modo le nascite da genitori entrambi stranieri, in calo del 3,1% sul 2022 e del 35,6% nel confronto con il 2012 (-28.447 unità). Si tratta di un trend in atto da diverso tempo, dunque. E che non sembra destinato a subire un’inversione di rotta, almeno nel brevissimo periodo: nella nota l’Istat osserva che la denatalità prosegue anche nel 2024. Secondo i primi dati provvisori riferiti al periodo gennaio-luglio, le nascite sono diminuite, rispetto allo stesso periodo del 2023, di 4.600 unità (-2,1%).
La questione demografica è un tema ricorrente di questi tempi, perché il progressivo invecchiamento della popolazione mina la stabilità, nel suo complesso, del sistema di welfare. Con ripercussioni dirette anche sul mercato del lavoro. Nell’ultimo periodo, infatti, abbiamo assistito con frequenza ad una crescita degli occupati di 50 anni e più, contestualmente ad una diminuzione (o il mantenimento di valori stabili) dei lavoratori più giovani. L’invecchiamento della popolazione, appunto, dovuto dalla commistione del calo delle nascite e dell’aumento dell’aspettativa di vita, rallenta i percorsi tanto di accesso quanto di uscita dal mondo del lavoro. Un trend non solo italiano, ma che interessa diversi paesi occidentali.
A tale proposito va analizzato anche il calo della fecondità. Riprendendo il report dell’Istat, la fecondità osservata negli anni di calendario «risente degli effetti connessi a fenomeni di posticipazione o recupero delle scelte riproduttive, legati al contesto sociale ed economico del particolare momento storico. Da qui, possono emergere andamenti oscillanti dell’indicatore di fecondità di periodo che, in quanto misura trasversale, sintetizza il comportamento riproduttivo di generazioni diverse. L’analisi della fecondità per coorte di nascita esprime invece la misura della tendenza ad avere figli delle generazioni e, per l’Italia, restituisce un quadro di costante diminuzione della fecondità».
Considerando le coorti che hanno concluso il proprio periodo di vita riproduttiva, la fecondità passa da 2,01 della generazione 1947 a 1,43 della coorte di donne nate nel 1974. Il numero medio di figli per donna registrato nel 2023 riporta il paese indietro, al minimo storico di 1,19 registrato nel 1995. Nel confrontare questi due valori, occorre sottolineare che c’è una differenza nella composizione per cittadinanza della popolazione femminile: infatti, nel 1995 il tasso di fecondità totale era ascrivibile quasi completamente ai comportamenti delle italiane, essendo ancora esiguo il contributo delle donne straniere. Il continuo aumento di queste ultime dopo il 1995, e la loro tendenza a realizzare i progetti riproduttivi in Italia, aveva contribuito a una ripresa della fecondità, evidente nel primo decennio degli anni Duemila, periodo nel quale anche le donne italiane avevano offerto un contributo positivo. Dal secondo decennio degli anni 2000 e fino agli anni più recenti lo scenario cambia. La fecondità diminuisce tanto per effetto del calo attribuibile alle italiane (da 1,33 figli per donna nel 2010 a 1,14 nel 2023) quanto di quello delle straniere (da 2,31 a 1,79).