Un Paese in deficit di fiducia
Nonostante la crescita economica registrata dal Pil e il modesto miglioramento dei livelli occupazionali, l’Italia continua a mostrare i segni di un progressivo deterioramento della qualità dello sviluppo, accompagnato da profonde differenze territoriali e sociali. Questo il quadro che emerge dal 2° Rapporto sulla qualità dello sviluppo in Italia realizzato da Tecnè e Fondazione Di Vittorio. L’indice generale, in un anno, scende da 100 a 99, con un peggioramento, in particolare, nel Nord e nel Centro e con il Mezzogiorno che continua a essere in grave ritardo rispetto al resto del Paese. Aumentano poi le disuguaglianze economiche e la concentrazione della ricchezza. Nel complesso le 3 regioni migliori dal punto di vista della qualità dello sviluppo sono il Trentino Alto Adige (136), il Friuli V.G. (113) e il Veneto (112). Quelle che hanno registrato le migliori perfomance rispetto al 2015 sono la Liguria, le Marche (entrambe sopra la media Italia) e il Molise (sotto la media). Fanalino di coda, nell’ordine, Campania, Sicilia e Calabria.
Il tema della misurazione della qualità dello sviluppo e del benessere degli individui ha stimolato, negli ultimi anni, ampi spazi di discussione e può ormai contare su importanti esperienze nazionali e internazionali, cui hanno contribuito diverse discipline: la sociologia, l’analisi economica, la psicologia. Si tratta di un tema con una lunga tradizione accademica e in tutto il mondo, sia nei paesi sviluppati, sia in quelli emergenti e in via di sviluppo, organizzazioni pubbliche e private hanno intrapreso percorsi e iniziative per costruire sistemi d’indicatori o singole misure in grado di dare conto della complessità della società e di monitorare quei fenomeni che, in maniera e in misura diversa, contribuiscono alla qualità dello sviluppo e al benessere dei cittadini. Come tutti gli studi hanno dimostrato (e come il buon senso suggerisce) la crescita economica ha una relazione stretta con la qualità della vita degli individui e con le caratteristiche e le dotazioni dei territori. E la competitività cresce in funzione di quanto crescono l’equità e le possibilità offerte agli individui. Il Rapporto sulla qualità dello sviluppo in Italia nasce da queste premesse e ha l’obiettivo di misurare lo stato di salute del Paese da uno specifico punto di vista: quello delle disuguaglianze territoriali. La scelta della scala (cioè del sistema di indicatori) e del metodo di calcolo degli indici (basato sulla distanza di ogni singola regione rispetto alla media nazionale) è funzionale proprio a evidenziare le eccellenze e misurare le distanze tra i vari territori.
Rispetto all’edizione dell’anno scorso il rapporto è stato arricchito di nuovi indicatori (da 87 a 110), raggruppati in 12 macro-aree di analisi: standard abitativi; beni posseduti dalle famiglie; contesto territoriale; condizioni di salute degli individui; servizi socio-sanitari; capitale sociale; capitale culturale; infrastrutture economiche; equità socioeconomica; fiducia economica (nuovo); fiducia interpersonale (nuovo); soddisfazione personale.
In sintesi l’Italia cresce economicamente poco, nonostante il contesto internazionale favorevole, e la ricchezza tende sempre più a concentrarsi in fasce di popolazione ad alto reddito, col risultato che il ceto medio è più fragile, aumentano i poveri e (soprattutto) i quasi-poveri, il lavoro è percepito più instabile e nel complesso è più difficile migliorare le proprie condizioni economiche, sociali e professionali. Tutto ciò si riflette in un sentimento di diffuso pessimismo sul futuro del Paese e in una crescente sfiducia economica.
In una sorta di adattamento funzionale, cresce leggermente la soddisfazione personale verso la dimensione domestica. Peggiorano gli standard abitativi ma aumentano i beni posseduti dalle famiglie (dalla consolle di videogiochi, alla parabola, a internet). Si frequentano meno gli amici e si passa meno tempo fuori casa, ma si è più soddisfatti del tempo libero. La dinamica segnala un ripiegamento nel privato e un indebolimento della propensione sociale partecipativa. Infatti, si parla più di politica ma si ascoltano meno i dibattiti, cala la partecipazione agli eventi collettivi ma cresce l’interesse individuale nei confronti di ciò che accade nel Paese. E la politica diventa sempre più un’attività da “poltrona”, assumendo nuove forme di partecipazione immateriale. Aumentano le forme di solidarietà non partecipativa: crescono quanti sono disponibili a dare un aiuto economico ma diminuiscono quanti sono disponibili a dare un aiuto pratico e diretto.
Il 70% dichiara di trovarsi in buone condizioni di salute (stabile rispetto al 2015). Diminuiscono coloro che dichiarano di essere affetti da patologie croniche (da 40% a 39%) e tra questi aumentano coloro che dichiarano, comunque, di stare bene (da 41% a 42%). Diminuiscono coloro che dichiarano di essere affetti da diabete e ipertensione e malattie del cuore, mentre aumentano coloro che dichiarano di soffrire di artrosi o artrite, malattie allergiche e disturbi depressivi. L’indice passa da 100 a 102 punti. Migliora nel Nord-est (da 105 a 107) e nel Mezzogiorno (da 95 a 100), mentre peggiora decisamente nel Centro (da 104 a 99) e rimane stabile nel Nord-ovest (104). Al primo posto, per quanto riguarda le condizioni di salute, si colloca il Trentino A.A. (137 punti), seguito da Friuli V.G. (118) e Valle d’Aosta (111). Il 93% esprime giudizi positivi sulla competenza e professionalità dei medici ospedalieri (il 92% nel 2015) e analoga quota si esprime sugli infermieri (il 91% l’anno scorso). Prevalentemente positivi anche i giudizi sul pronto soccorso (64%, stabile rispetto all’anno scorso). Decisamente meno positive (ma stabili rispetto all’anno scorso) le valutazioni sui tempi di attesa per le visite specialistiche (positivi solo per il 36%) e per i ricoveri (46%). Ugualmente negativi – ma in peggioramento – i giudizi sui tempi di attesa per la diagnostica (da 43% a 42%).
Rispetto al 2015 cresce il numero d’imprese. Rimangono molto bassi, però, gli investimenti in ricerca e sviluppo (circa l’1% del Pil), e le imprese innovatrici rappresentano appena il 34%. Al contempo, pur stabilizzandosi gli occupati intorno ai 22,7 milioni, diminuisce la percezione di stabilità del posto di lavoro, che diventa più discontinuo e precario. Scende ulteriormente la redditività media delle imprese e il valore aggiunto al costo dei fattori. L’insieme di questi elementi ci restituisce un sistema economico che migliora leggermente le sue dotazioni quantitative e le sue performance ma non rallenta il deterioramento qualitativo del sistema nel suo complesso.
La rarefazione della dimensione collettiva si sposa con la crescita della sfiducia economica e del risentimento nei confronti della politica, mentre prende forma una conflittualità sociale a bassa intensità e ad alta frequenza, che diventa più forte nelle aree sociali più vulnerabili. Cresce la fiducia interpersonale, soprattutto nei confronti di coloro che vivono la medesima condizione socio-economica (per esempio il vicino di casa) e verso le forze dell’ordine, mentre diminuisce nei confronti del “diverso”, che può essere l’immigrato ma anche chi soffre di forme estreme di disagio sociale ed economico.