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Il Giappone dopo la vittoria elettorale di Abe

Adesso il premier può provare a modificare l'articolo 9 della Costituzione che vieta al Paese di dotarsi di un esercito vero e proprio
di Redazione

Domenica in Giappone si sono svolte le elezioni (anticipate) per il rinnovo della Camera dei Rappresentanti, il ramo basso del Parlamento. La coalizione di governo del premier Shinzo Abe ha ottenuto almeno 312 seggi sui 465 disponibili. Non hanno votato in tanti: l’affluenza è stata la seconda più bassa dal secondo dopoguerra – si è recato alle urne il 54% degli aventi diritto –, ma le cattive condizioni meteorologiche hanno probabilmente influito molto.

Abe ha vinto la sua scommessa, dunque: il 28 settembre il premier ha convocato le elezioni anticipate, ad un anno di distanza dalla scadenza naturale, con l’intento di riuscirne rafforzato. Adesso ha la maggioranza necessaria (310 seggi) per riuscire a riformare la Costituzione. Il premier vuole modificare l’articolo 9, che vieta al Giappone di dotarsi di un esercito vero e proprio – attualmente il Paese dispone di semplici Forze di autodifesa –, come imposto dagli Stati Uniti usciti vincitori dalla Seconda guerra mondiale.

La crescente aggressività della Corea del Nord rappresenta una minaccia concreta per i giapponesi – con i suoi missili, il regime nordcoreano ha sorvolato in più occasioni lo spazio aereo del Giappone –, al punto tale da convincerli a sposare la causa del primo ministro. Un sostegno fondamentale: una volta ottenuto il via libera della Camera dei rappresentanti, la proposta dovrà essere approvata da un referendum popolare.

Il premier ha già annunciato le sue intenzioni: «Come avevo promesso durante la campagna elettorale, il mio compito è di occuparmi fortemente della Corea del Nord e per questo c’è bisogno di una diplomazia forte».

I giapponesi hanno dato (nuovamente) fiducia ad Abe e dunque anche alla sua politica economica: l’Abenomics, fatta di espansione della spesa pubblica e di pesanti interventi a carico del governo centrale: investimenti mirati, volti a potenziare settori considerati strategici (in tecnologie avanzate, ricerca e sviluppo, energia e ambiente, sicurezza anti-sismica, ricostruzione infrastrutturale e abitativa post-tsunami).

A settembre il Giappone ha rivisto al ribasso l’incremento del Prodotto interno lordo del secondo trimestre: tra aprile e giugno 2017, l’economia è cresciuta del 2,5% su base annua (contro il +4% stimato in precedenza dal ministero delle Finanze). Seppure al ribasso, si tratta del sesto trimestre consecutivo in crescita. Il Paese non cresceva per un periodo così prolungato di tempo dal 2006. Mentre il tasso di disoccupazione – ovvero il rapporto tra chi è alla ricerca di un impiego e la forza lavoro – si è attestato al 2,8%.

Nonostante tutto i salari dei sarariman – termine che indica i lavoratori a tempo pieno e indeterminato nel settore terziario – non aumentano in modo significativo. A crescere sono state soprattutto le paghe dei lavoratori a tempo parziale e dei collaboratori non dipendenti. Un aumento che, secondo molti economisti, potrebbe non durare a lungo e sopratutto non può spingere i consumi. Secondo gli ultimi dati dell’OCSE, gli autonomi e i part-time percepiscono mediamente un salario il 45% più basso rispetto ai sarariman.

A ciò si aggiungono le condizioni lavorative delle donne: la maggioranza delle lavoratrici ha un impiego part-time e poche sono le politiche realmente efficaci che vogliono migliorarne la condizione e aumentarne la partecipazione nel mercato del lavoro.

Infine, il debito pubblico. È tra i più alti al mondo, secondo solo a quello degli Stati Uniti: nel 2017 ha raggiunto i 9.497,1 milioni di dollari, pari ad oltre il 230% del Prodotto interno lordo giapponese (dati: S&P Global Ratings).

 

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