Rivoluzione digitale e competenze: un gap da colmare
L’International Federation Robotics prevede l’installazione di quasi due milioni di nuovi robot che nel mondo trasformeranno le fabbriche entro il 2020. Oggi la crescita più robusta dell’industria della robotica viene osservata in Asia, con la Cina – mercato numero uno al mondo – a farla da padrona. Nel 2017 le installazioni robotizzate cresceranno del 21% in Asia-Australia, mentre le forniture di robot nelle Americhe registreranno un aumento del 16% e in Europa dell’8%.
Nel rapporto sugli scenari industriali del Centro Studi di Confindustria viene osservato che «l’impatto della tecnologia digitale sul mondo del lavoro si estenderà rapidamente in modo diffuso e profondo», con conseguenze al momento difficili da immaginare. L’automazione, tuttavia, non è ancora in grado di assorbire tutte le mansioni o le operazioni necessarie per realizzare un prodotto, almeno non lo è in alcune aree. Nel ricordare che «la crisi non è alle spalle», il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, intervenuto alla presentazione del rapporto di Confindustria, ha osservato anche che «abbiamo sfide epocali davanti, prima tra tutte l’innovazione tecnologica». Questa innovazione tecnologica va però governata in qualche modo. E guardando in casa nostra, è sempre Calenda a indicare uno dei più gravi ritardi per l’Italia: i competence center, ovvero quei poli di eccellenza, coordinati da atenei universitari e centri di ricerca, il cui scopo è accompagnare le imprese nella fase di trasformazione digitale. Il tema delle competenze, della formazione e delle professionalità è cruciale in vista dell’annunciata – pur con i dovuti distinguo – “quarta rivoluzione industriale”.
In Italia accade spesso, altrove meno, da alcune parti è invece una costante. Così può capitare che i datori di lavoro lamentino difficoltà a reperire sul mercato risorse adeguate, cioè persone qualificate per il tipo di mansioni e attività (si intende ad alto contenuto tecnologico) che dovrebbero andare a svolgere nel nuovo impiego. Di recente, con riferimento all’Italia, l’Ocse ha osservato che alla scarsa offerta delle prime si associa un’altrettanto scarsa domanda da parte delle imprese, in quello che potremmo definire un quadro di low-skills equilibrium. E una parte del problema, dice sempre l’Ocse, è da ricercarsi nelle difficoltà che le università incontrano nel fare rete con il mondo del lavoro.
La seconda parte del piano nazionale Industria 4.0 è incentrata soprattutto sul tema della formazione e del lavoro, di qui la sua declinazione in Impresa 4.0. Altra considerazione: l’Italia – aveva già sottolineato l’Ocse – «è l’unico paese del G7 in cui la quota di lavoratori laureati in posti con mansioni di routine è più alta di quella che fa capo ad attività non di routine».