Come la demografia cambia il mercato del lavoro
Secondo le previsioni demografiche dell’Istat la probabilità che aumenti la popolazione italiana tra il 2017 e il 2065 è pari al 9%. Entro quella data, in Italia, la vita media crescerebbe di oltre cinque anni per entrambi i generi, giungendo a 86,1 anni e 90,2 anni, rispettivamente per uomini e donne (80,6 e 85 anni nel 2016). In generale la popolazione italiana è destinata a ridursi in maniera significativa nei prossimi 50 anni, afferma l’Istat: nel 2061 il numero di neonati sarà la metà di quello dei morti.
Questo, in estrema sintesi, il quadro demografico del paese. Che aiuta, una volta di più, a comprendere meglio alcune dinamiche all’interno del mercato del lavoro. Perché proprio la demografia è uno degli elementi che sta determinando processi e mutamenti. Nell’ultimo periodo abbiamo assistito ad una crescita degli occupati di 50 anni e più, contestualmente ad una diminuzione (o su valori stabili) dei lavoratori più giovani. Concorrono due fattori, in questo caso: il grado di esperienza (ci sono mansioni per cui le imprese faticano a reperire capitale umano) e l’invecchiamento della popolazione, dovuto tanto al calo delle nascite quanto all’aumento dell’aspettativa di vita. Un trend che però non è solo italiano, interessa diversi paesi nel mondo e l’Europa in particolare. Da tempo, non a caso, la Bce si dice preoccupata dall’invecchiamento che porterà a un declino nella disponibilità di forza lavoro, con il conseguente (e ulteriore) impatto negativo sulla produttività. Già il Fondo monetario internazionale, non molto tempo fa, partendo dal campione di alcuni paesi europei analizzati, stima un incremento di cinque punti percentuali della quota di lavoratori tra i 55 e i 64 anni può incidere su un calo della produttività del lavoro pari al 3%.
Nel report Il mercato del lavoro. Verso una lettura integrata, pubblicato alla fine dello scorso anno, l’Istat afferma che «se per gli anni a venire si prevede una stabilità della componente giovanile, gli effetti di bassa natalità si riflettono sulla componente adulta (35-54 anni) che declina fortemente, con una corrispondente crescita della componente di popolazione più matura (55-69 anni)». Ciò vuol dire che «nei prossimi 20 anni è altamente probabile che l’Italia perderà 3 milioni e mezzo di individui in età lavorativa (15-69 anni, cioè una maggiore soglia di età anziché la tradizionale 15-64 per includere anche gli individui interessati dalle riforme pensionistiche), con un decremento più consistente nella classe adulta (-24,7% nella fascia d’età 35-54 anni) e giovane (-7,4% in quella con meno di 35 anni) e un incremento atteso nella classe d’età più matura (+17,6%)». Vanno poi considerate altre situazioni oltre alla dinamica demografica perché, ricorda sempre l’Istat, «i cambiamenti nella dimensione e nell’età media sono frutto anche della trasformazione dei modelli di partecipazione della forza lavoro e dei cambiamenti normativi». Ad esempio l’aumento della scolarizzazione che «ha ritardato l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro», oppure i cambiamenti normativi riguardanti l’età pensionabile che «hanno trattenuto più a lungo le persone di età matura nell’occupazione, determinando un “invecchiamento” della forza lavoro».