«Madri equilibriste», così il mercato del lavoro arretra
Se davvero si vuole comprendere fino in fondo il perché di una ripresa altalenante del nostro mercato del lavoro, di livelli occupazionali che – al ritmo di qualche decimale di punto – salgono o scendono da un mese all’altro, forse è il caso di dare un’occhiata all’ultimo rapporto di Save the Children, Le Equilibriste: la maternità in Italia. Che non spiegherà tutto, ma spiega comunque molto dei cambiamenti – sociali e demografici – in grado di condizionaere l’andamento dell’occupazione in Italia.
Cominciamo da alcune riflessioni immediate. L’aspettativa di vita si è allungata, ma contestualmente nel nostro paese le coppie – trend consolidato da diversi anni – fanno meno figli anche perché si decide di averli sempre più tardi, il che riduce di molto la possibilità di “allargare” il nucleo familiare. Per rendere l’idea (i dati sono piuttosto recenti): secondo le previsioni demografiche dell’Istat la probabilità che aumenti la popolazione italiana tra il 2017 e il 2065 è pari al 9%. Nel report Il mercato del lavoro. Verso una lettura integrata, pubblicato alla fine dello scorso anno, l’Istat afferma che «se per gli anni a venire si prevede una stabilità della componente giovanile, gli effetti di bassa natalità si riflettono sulla componente adulta (35-54 anni) che declina fortemente, con una corrispondente crescita della componente di popolazione più matura (55-69 anni)». Ciò vuol dire che «nei prossimi 20 anni è altamente probabile che l’Italia perderà 3 milioni e mezzo di individui in età lavorativa».
La riflessione che possiamo fare subito dopo è che l’invecchiamento della forza lavoro porta conseguenze dirette su produttività e turn over, a scapito quindi di crescita e componente più giovane della popolazione. In generale, l’invecchiamento della forza lavoro avrà un impatto anche sulle aziende che saranno costrette (nei fatti lo sono già) a ripensare i modelli di produzione, l’organizzazione del lavoro (ambiente e tempi), senza dimenticare le implicazioni non più rinviabili in termini di salute e sicurezza.
Ecco, perciò, che il ruolo delle madri/lavoratrici diventa fondamentale. Il rapporto di Save the Children ci ricorda che in Italia le donne decidono di diventare madri sempre più tardi (siamo infatti in cima alla classifica europea per anzianità delle donne al primo parto con una media di 31 anni) e «rinunciano sempre più spesso alla carriera professionale quando si tratta di dover scegliere tra lavoro e impegni familiari (il 37% delle donne tra i 25 e i 49 anni con almeno un figlio risulta inattiva)».
La tendenza osservata negli ultimi anni è che la partecipazione al mercato del lavoro delle donne varia, spesso, al variare del titolo di studio. Più l’ingresso nel mercato del lavoro è tardivo – pensiamo alle laureate rispetto alle diplomate – e più il dilemma “figli o carriera” si accentua. Altro problema riguarda le politiche di conciliazione, atavicamente carenti dalle nostre parti. «Dai dati diffusi – si legge non a caso sul sito di Save the Children – emergono notevoli differenze tra regioni del Nord, sempre più virtuose a parte poche eccezioni, e quelle del Sud, troppo spesso carenti di servizi e di sostegno alla maternità. In linea di massima, però, la ricerca sottolinea un peggioramento generale dell’Italia per quanto riguarda l’accoglienza dei nuovi nati e il sostegno alle mamme».
Cosa succede, sintetizzando? Che il carico di cura dei neonati, di bambini e della famiglia grava ancora troppo sulle spalle delle donne, con ripercussioni negative sull’occupazione specie nelle regioni del Mezzogiorno. Come se ne esce? Incrementando e migliorando le politiche di conciliazione, appunto. Di qui l’equilibrismo cui fa riferimento Save the Children, con le madri che «sono vere e proprie equilibriste tra la vita privata e il mondo lavorativo». «Si sottolinea – è quindi la proposta – la necessità di un Piano Nazionale di sostegno alla genitorialità, con misure a sostegno del percorso nascita e dei primi “mille giorni” di vita dei bambini, che consolidi il sistema di tutela delle lavoratrici e promuova l’introduzione del family audit nel privato, che garantisca servizi educativi per la prima infanzia a tutti, rafforzando, nell’ambito dell’attuazione della riforma del sistema integrato 0-6 anni, l’offerta complessiva di accoglienza di bambini di meno di tre anni, anche ottimizzando gli investimenti e ristrutturando parte degli ambienti delle scuole di infanzia, che prevedibilmente non saranno utilizzati pienamente a causa del progressivo minor numero di bambini in quella fascia di età (3-5 anni)». All’invecchiamento della popolazione, bisogna ancora prendere in considerazione, seguiranno nel lungo periodo ingenti costi sociali, vedere soprattutto alla voce “pensioni” senza per questo trascurare la voce “sanità”. Nel mentre – tornando alle previsioni Istat – le nascite continueranno a diminuire. E con esse i lavoratori. E senza questi ultimi le casse languono. E chi le pagherà, allora, le pensioni?