Nuove turbolenze. Quali rischi per l’economia mondiale?
La settimana burrascosa di Wall Street ha contagiato pure le Borse europee e asiatiche, provocando la più classica delle reazioni a catena, pur essendo – parole di Trump al riguardo – «una correzione attesa da tempo». Il presidente statunitense, però, si è spinto oltre “responsalizzando” per la caduta dei titoli direttamente la Fed («è impazzita», ha detto), che costantemente ha aumentato i tassi di interesse. Una misura che la Fed aveva già annunciato (per inciso: è inusuale che un presidente intervenga a gamba tesa sull’istituto) sulla base del buon andamento dell’economia reale.
Le scuole di pensiero sono due. C’è chi ritiene il presidente americano abbia ragione, perché il rendimento dei buoni del Tesoro spingerebbe gli investitori a guardare con maggiore interesse le emissioni federali. E chi invece mira all’orizzonte la guerra commerciale con la Cina. Di certo non è un segreto che il Fondo monetario internazionale guarda con una certa apprensione alle tensioni tra Washington e Pechino. Il FMI, non a caso, ha già tagliato le stime di crescita mondiale (l’Economist già paventa una nuova recessione sullo sfondo) e avverte che un’eventuale escalation recherebbe danni tanto all’America (in modo più contenuto) quanto alla Cina, quanto all’espansione globale (anche la BCE, di recente, ha redatto un’analisi che va più o meno nella stessa direzione).
Nella giornata di venerdì le Borse europee si sono mantenute su territorio positivo, ma alle nostre latitudini è proprio l’Italia ad essere sotto la lente d’ingrandimento. A tale proposito il FMI, dal meeting in corso a Bali, ha ribadito che la manovra italiana va in una direzione opposta ai suoi suggerimenti. Data l’impennata dello spread – il differenziale di rendimento dei Btp decennali e i Bund di pari scadenza – e l’avvertimento di Fitch (secondo l’agenzia di rating il deficit nel 2020 sarà più vicino al 2,6% del Pil che non al 2,1% previsto dal governo), siamo nel mezzo di una tempesta perfetta?
Tra qualche giorno le agenzie Standard&Poor’s e Moody’s aggiorneranno i propri giudizi sul debito pubblico italiano. Se dovessero declassarlo, portandolo al “livello spazzatura” (ma per farlo l’abbassamento dovrebbe essere addirittura di due livelli), la prima conseguenza – dolorosa – sarebbe il mancato acquisto di titoli di Stato a causa dei limiti imposti su investimenti ad alto rischio. Al di là delle polemiche che di solito accompagnano scelte di questo tipo, il giudizio delle agenzie di rating ha un peso perché ritenuto un termometro dell’affidabilità di un debitore, nel nostro caso l’Italia.