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Il lavoro da casa prima della pandemia

Nel 2019, rileva l’Istat, tale modalità di impiego ha coinvolto circa 1,3 milioni di occupati, il 5,7%. In generale Il 16,4% degli occupati ha piena autonomia nella scelta dell’orario di inizio/fine della giornata lavorativa

di Redazione

Come era il lavoro da casa prima che la pandemia costringesse milioni di italiani ad adottare questa modalità di impiego? Al riguardo risponde l’Istat nel report L’organizzazione del lavoro in Italia: orari, luoghi, grado di autonomia: «Il lavoro da casa – che nel 2019 ha coinvolto circa 1,3 milioni di occupati, il 5,7% – è più diffuso nel settore dei servizi, anche se con forti differenze tra i comparti. Lo adottano più di frequente il settore dell’informazione e comunicazione assieme a quello dei servizi alle imprese; inoltre, nel settore istruzione, l’abitazione rappresenta molto spesso il luogo di lavoro secondario». Al contrario, però, «il lavoro da casa è pressoché inesistente per gli occupati negli alberghi e ristorazione, trasporti e magazzinaggio, sanità e assistenza sociale, servizi alle famiglie».

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Per quanto riguarda il grado di autonomia (il periodo di riferimento è il 2019), dal report emerge che oltre sette occupati su dieci (per un totale di 16,6 milioni di lavoratori) non hanno la possibilità di decidere l’orario di inizio e/o fine della propria giornata lavorativa. Per i lavoratori dipendenti l’orario è definito dal datore di lavoro mentre i vincoli che incontrano i lavoratori autonomi sono riferiti alle esigenze dei clienti o dalle norme.

Il 16,4% degli occupati ha, invece, piena autonomia nella scelta e un ulteriore 12%, pur dichiarandosi autonomo, è soggetto ad alcune limitazioni. Gli uomini, i lavoratori dai 50 anni in su e quelli con titolo di studio elevato, le categorie tradizionalmente più forti nel mercato del lavoro, hanno maggiori margini di flessibilità oraria: più spesso degli altri lavoratori possono decidere l’orario della giornata lavorativa e più facilmente possono accedere a permessi e ferie, anche con breve preavviso. Più costrittive sono invece le condizioni lavorative di stranieri, giovani, donne e delle persone con un basso titolo di studio.

Accanto alla flessibilità richiesta dai lavoratori per esigenze personali, rileva l’Istat, vi è quella del datore di lavoro in ragione di esigenze produttive. A un quinto dei dipendenti viene richiesta una modifica dell’orario lavorativo almeno una volta a settimana, a un ulteriore 22,6% almeno una volta al mese. Tali richieste sono più frequentemente rivolte agli occupati laureati, di sesso maschile o con cittadinanza italiana (agli stranieri, alle donne e alle persone con bassa istruzione molto più raramente viene chiesto di modificare il proprio orario di lavoro).

Tra i lavoratori autonomi, inclusi i dependent contractor, il 45% deve rivedere il proprio programma di lavoro almeno una volta a settimana per richieste di clienti o per variazioni della quantità di lavoro e un ulteriore 18,5% lo deve fare almeno una volta al mese.

 

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