Lavoro: l’impatto della difficoltà di reperimento del personale
Secondo le stime Unioncamere tale condizione nel 2022 ha riguardato il 40% delle assunzioni ed è costata all’Italia una perdita di 37,7 miliardi di euro
di Redazione
La difficoltà di reperimento del personale nel 2022 ha riguardato il 40% delle assunzioni e tenderà ad aumentare ulteriormente anche per l’accelerazione della domanda attesa come effetto degli investimenti PNRR. Unioncamere ha stimato i costi per i diversi settori dell’economia derivanti dal minor valore aggiunto prodotto a causa dell’inserimento ritardato delle professioni difficili da reperire. Considerando una tempistica di difficoltà di reperimento compresa tra due e 12 mesi, si è stimata per il 2022 una perdita di valore aggiunto di 37,7 miliardi di euro, pari al 3,1% di quanto generato complessivamente dalle filiere dell’industria e dei servizi inserite nel campo d’osservazione dell’indagine Excelsior. La stima è contenuta nel report Previsioni dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine, aggiornato al quinquennio 2023-2027, elaborato nell’ambito del Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere in collaborazione con ANPAL. Le filiere produttive per cui si è stimato un costo maggiore a causa dell’inserimento ritardato dei lavoratori ricercati, si spiega nel report, sono state quelle dei servizi operativi, commercio e turismo, costruzioni e infrastrutture, settori con un elevato turnover occupazionale legato anche ai fattori stagionali.
Il costo del mismatch, afferma Unioncamere, rischia di aumentare nei prossimi anni in considerazione dei macro-trend che stanno già cambiando il mercato del lavoro: la transizione digitale e green e l’andamento demografico. Il trend demografico provocherà, infatti, sia un aumento dei flussi pensionistici e quindi delle uscite dal mercato del lavoro, sia una riduzione del numero di persone in età lavorativa per l’invecchiamento della popolazione (secondo le previsioni Istat fino al 2030 la popolazione di 18-58enni diminuirà ad un tasso dell’1% annuo), aumentando lo shortage gap per mancanza di lavoratori che possano sostituire quelli in uscita.
Proprio l’aspetto demografico rappresenterà nei prossimi anni il fattore critico più rilevante considerando che tra il 2023 e il 2027 l’intero mercato del lavoro italiano (privato e pubblico) avrà bisogno di circa 3,8 milioni di lavoratori, il 72% dei quali (2,7 milioni) dovranno sostituire occupati in uscita dal mercato del lavoro. Il restante 28% della domanda del mercato del lavoro – osserva allora Unioncamere – sarà determinato, invece, dall’espansione economica che si tradurrà in una crescita dello stock occupazionale di oltre un milione di lavoratori nello scenario di previsione allo stato attuale più accreditato.
Gli investimenti del PNRR, secondo quanto emerge dal report, saranno nei prossimi anni tra i fattori determinanti per la crescita dell’economia e dell’occupazione. E dalle stime al riguardo, quattro filiere appaiono maggiormente trainate dai fondi europei: costruzioni e infrastrutture dovrebbe assorbire il 21% del flusso di occupati complessivi che sarà attivato grazie al PNRR, il 18% turismo e commercio, il 16% i servizi avanzati e il 13% formazione e cultura. Quanto alla formazione, si stima che tra il 2023 e il 2027 il 34,3% del fabbisogno occupazionale riguarderà personale in possesso di una formazione terziaria (laurea o diploma ITS Academy), il 48,1% profili in possesso di un diploma di tipo tecnico-professionale. Risulterà più marcata, invece, la carenza di offerta di laureati nell’indirizzo medico-sanitario (mancheranno 12 mila laureati ogni anno), in quello economico-statistico (ottomila unità annue) e di lavoratori con un titolo terziario nelle discipline STEM (seimila unità annue). In particolare nelle STEM, si osservano i mismatch più critici nell’ambito delle scienze matematiche, fisiche e informatiche e in quello ingegneristico.
Considerando nell’insieme gli indirizzi della formazione secondaria di II grado tecnico-professionale, si stima che l’offerta formativa complessiva riuscirebbe a soddisfare solo il 60% della domanda potenziale nel prossimo quinquennio, con i mismatch più critici per gli ambiti di studio relativi a trasporti e logistica, costruzioni, sistema moda e meccanica, meccatronica ed energia, per cui si prevede che tra il 2023 e il 2027 l’offerta potrebbe coprire circa meno di un terzo della domanda potenziale.