Lavoro: i cambiamenti dell’occupazione tra il 2019 e il 2023
Nonostante i miglioramenti relativi alla partecipazione, resta elevato il ritardo nel confronto con gli altri paesi europei. Il fenomeno del part-time involontario
di Redazione
La crescita del tasso di attività del 2023 rispetto al 2019 ha riguardato principalmente la componente adulta: per le donne, +2 punti nella classe 25-54 anni e +2,7 in quella 55-64; per gli uomini +1 e +2,6 punti, rispettivamente. Il tasso di occupazione della popolazione in età di lavoro (15-64 anni) nel 2023 ha raggiunto il 61,5 per cento, guadagnando 2,4 punti percentuali rispetto al 2019 sia per gli uomini (al 70,4%) sia per le donne (al 52,5%). A evidenziare i dati è è l’Istat, nel capitolo I cambiamenti del lavoro: tendenze recenti e trasformazioni strutturali del Rapporto annuale 2024, utile a comprendere le dinamiche del mercato del lavoro italiano.
In generale si rileva una maggiore partecipazione, ma nel confronto con gli altri principali paesi europei il mercato del lavoro italiano presenta ancora un notevole ritardo su questo fronte. Nel 2023, il tasso di inattività della popolazione di 15-64 anni (33,3%) resta il più alto della media dei paesi dell’UE27 (25%) con un divario che per le donne è di circa 13 punti percentuali. Tra il 2019 e il 2023 il tasso di occupazione in Italia (+2,4 punti percentuali) è cresciuto più che in Germania (+1,7 punti), Francia (+2,0 punti) e Spagna (+2,1 punti), ma rimane inferiore di 15,9 punti rispetto al tasso di occupazione in Germania, e anche rispetto ai valori osservati per Francia e Spagna (-6,9 e -3,9 punti rispettivamente). Il divario con
la Germania, spiega l’Istat, è particolarmente evidente in corrispondenza dei più giovani (-30,5 punti) e della classe di età 55-64 (-17,4 punti). Nella classe di età centrale (tra 25 e 54 anni) il differenziale si amplifica, invece, nei confronti di Francia (-8,9 punti) e Spagna (-4,6 punti).
Il divario nei tassi di occupazione dell’Italia rispetto alla media UE27, osserva l’Istituto nazionale di statistica, può essere ricondotto alla debolezza del mercato del lavoro delle regioni del Mezzogiorno (nel 2023 il 48,2% di occupati rispetto al 70,4 della media UE27) e della componente femminile dell’occupazione (il 52,5 per cento a fronte del valore 65,8). Al contrario, le regioni del Nord mostrano tassi di occupazione in linea con quelli medi europei (69,4%) o addirittura superiori per la componente maschile (76,3 per cento rispetto al 75,1). Ad ogni modo, rispetto al 2019, la ripresa dell’occupazione ha interessato tutto il paese, con un aumento più accentuato nel Mezzogiorno, soprattutto per la componente maschile (+3,9 punti rispetto a +2,4 della media nazionale). La dinamica demografica (che ha determinato una contrazione della popolazione tra i 15 e i 34 anni) e l’andamento positivo dell’occupazione hanno portato a una riduzione del tasso di disoccupazione.
Nel 2023, per l’insieme dei paesi dell’UE27 il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 6%, il valore più basso mai registrato dal 2009, ricorda l’Istat. In Italia il tasso di disoccupazione è passato dal 9,9% del 2019 al 7,7% del 2023. Nonostante questi progressi, il nostro paese conserva ancora una quota importante di occupati in condizione di vulnerabilità lavorativa. Attenzione, però: da sole le forme di lavoro part-time non individuano una condizione di vulnerabilità nel mercato del lavoro (anzi – afferma l’Istat al riguardo – possono essere un utile strumento di flessibilità e conciliazione), tuttavia i dati più recenti sul part-time involontario mostrano criticità. Nel 2023, prosegue l’Istat, in Italia il 54,8% dei lavoratori a tempo parziale tra 15 e 64 anni vorrebbe lavorare di più e l’incidenza sale fino al 69,3% tra gli uomini (e fino al 74,2 nella fascia di età tra i 25 e i 54 anni), contro il 50,2% per le donne, che sono la maggioranza. Inoltre, l’Istituto osserva un netto gradiente territoriale: nel Mezzogiorno poco meno di nove uomini occupati part-time su dieci si trovano in questa condizione, a fronte di circa uno su due al Nord e poco più dei due terzi al Centro. Per le occupate la geografia del divario resta la stessa, ma con differenze di minore entità.
In Italia, la quota di occupati part-time si attesta al 17,6%, simile a quella della media UE27, superiore a quella di Francia e Spagna (rispettivamente, 16,6% e 13,2%) e di molto inferiore rispetto a quella della Germania (28,8%). Allo stesso tempo la riduzione dell’incidenza dei contratti a tempo parziale che si è avuta in Italia dall’inizio della ripresa è decisamente più contenuta rispetto a questi paesi. Questo è vero in particolare per le donne, per le quali l’utilizzo del part-time si è ridotto di 2,9 punti a livello UE27 e di 1,3 punti in Italia (dal 32,7% del 2019 al 31,4% nel 2023). Per gli uomini, la quota di occupati part-time è sensibilmente inferiore (7,4%) e cala di 1,2 punti percentuali a fronte di una riduzione di 0,5 punti percentuali nella media UE27. Questa tipologia di lavoro è più diffusa tra i giovani, soprattutto se donne.
Discorso diverso per quanto riguarda, appunto, la quota di part-time involontario. Anche nel 2022, ultimo anno disponibile a livello europeo, la maggior parte degli occupati di 15-64 anni a tempo parziale in Italia (il 57,9%) si trova in questo regime orario non per libera scelta. Insieme alla Spagna (50,8 per cento), si tratta della quota più alta tra i maggiori partner europei. Francia e soprattutto Germania si collocano, invece, su quote ben inferiori (rispettivamente 25,9% e 6,1%). Nel confronto europeo il fenomeno assume dimensioni più ampie tra gli uomini: in Italia e Spagna l’incidenza sale al 74,1% e al 55%, a fronte del 29,3% della Francia e del 9,1% della Germania. Rispetto al 2019, si registra comunque una riduzione con intensità diverse nei vari paesi: il calo è più accentuato in Francia (12 punti), mentre in Italia la diminuzione è di 7,7 punti percentuali, e in Germania di 3,1.