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Usa 2024. Il ritrovato entusiasmo tra i dem

Come cambia la campagna elettorale dei democratici con Kamala Harris, che intanto annuncia il suo “running mate”: il governatore del Minnesota, Tim Walz

di Fabio Germani

Se i sondaggi non possono essere considerati ancora “esaustivi” dei reali umori degli elettori statunitensi, di sicuro stanno fotografando un ritrovato entusiasmo nel segmento relativo al Partito democratico. In altre parole, l’effetto più immediato del ritiro dalla campagna elettorale del presidente statunitense, Joe Biden, è stato quello di compattare attorno alla figura di Kamala Harris – la candidata a presidente, ormai certa, dei democratici – non solo i vertici e i nomi più in vista, ma soprattutto la base dem. Che in precedenza appariva più sfiduciata e poco persuasa, nei molti casi rilevati dagli istituti demoscopici, di garantire il proprio sostegno a Biden, complice la sua età avanzata e le difficoltà fisiologiche mostrate negli ultimi mesi. Per comprendere meglio la portata del ritrovato entusiasmo, due elementi concorrono più di altri: la montagna di soldi – una cifra che ammonta a 200 milioni, dollaro più, dollaro meno – che Harris è riuscita a raccogliere nei primi sette giorni da candidata “in pectore” e l’incremento di volontari che hanno deciso di unirsi alla sua campagna più o meno nello stesso lasso di tempo, circa 170 mila. Quello che resta da capire, arrivati a questo punto, è se si tratta di “luna di miele” tra Harris e i suoi potenziali elettori, oppure se – a dispetto di quanti davano ormai per scontata la vittoria di Donald Trump a novembre – si è riaperta sul serio la partita delle presidenziali. 

Photo by Colin Lloyd on Unsplash

Incassata la nomina attraverso il voto online dei delegati prima della convention in programma a Chicago dal 19 al 22 agosto, la mossa più attesa di Harris era la scelta del candidato vice: sarà Tim Walz, governatore del Minnesota, decisione maturata formalmente nella giornata di martedì 6 agosto durante un comizio in Pennsylvania. Come già osservato in precedenza, la scelta del vice non è detto che sia determinante per l’esito di un’elezione presidenziale (in realtà, spesso, non lo è), tuttavia può contribuire a un bilanciamento del proprio bacino, compensando qua e là le lacune del candidato. In che modo potrà essere d’aiuto (o meno) Walz – giunto alla ribalta nelle ultime settimane per aver definito il running mate di Trump, J.D. Vance, weird, cioè «strano», trasformando la parola in una specie di etichetta virale che i dem stanno ora utilizzando in modo più diffuso sui social anche nei confronti dell’ex presidente –, parleremo nelle prossime puntate dello speciale Usa 2024.

I sondaggi, dicevamo, in questo momento danno Harris in ampio recupero sul rivale, considerata la soglia da dove aveva lasciato Biden. Inoltre, la vicepresidente sembra avere “riconquistato” consensi tra i neri e le altre minoranze e i più giovani, anche se non tutti i sondaggi concordano e alcuni, di recente, hanno invece sottolineato il vantaggio del candidato repubblicano tra gli elettori appartenenti alla Gen Z. Ad ogni modo ora Kamala Harris è sopra, seppure di poco, in tutte le principali medie dei sondaggi. Negli Stati in bilico (Michigan, Pennsylvania, Wisconsin, Arizona, Georgia, Nevada, North Carolina – quest’ultimo si è aggiunto da poco alla lista) le stime di CBS mostrano un sostanziale riequilibrio, a conferma di un’elezione ora più aperta ai diversi scenari. Soprattutto in Michigan, Pennsylvania e Wisconsin – dove molti ritengono si deciderà una fetta importante di elezioni – si registra un testa a testa (rispettivamente 48% Harris – 48% Trump; 50%-50%; 49%-50%).

Il primo intervento di Tim Walz da candidato vice di Kamala Harris durante un evento a Philadelphia, Pennsylvania. Non sono mancati gli attacchi a Trump e Vance

Come cambierà la campagna elettorale da Biden a Harris? Difficile a dirsi, perché se da un lato è vero che la vicepresidente non può sconfessare le misure espresse dall’amministrazione di cui fa parte, dall’altro dovrà riuscire con abilità a dettare l’agenda, proponendo idee nuove rispetto a Biden. Un cambiamento immediato ha però riguardato la linea di condotta generale: se l’attuale inquilino della Casa Bianca ha costantemente posto l’accento sulla minaccia alla democrazia statunitense, Harris sta cercando di offrire agli elettori una visione “oltre” questo aspetto, un messaggio di speranza indirizzato specialmente alle minoranze, alle persone svantaggiate e alle donne (non va trascurato, in questo senso, la centralità del tema aborto). Un’altra questione emersa in questi giorni è quella legata all’identità razziale: alla convention annuale della National Association of Black Journalists, Donald Trump ha attaccato Harris su un argomento molto delicato, sostenendo che la sua rivale si è sempre identificata come indiana, per poi definirsi «nera». È un aspetto che nasconde diverse sfaccettature – anche qui, ci torneremo più avanti quando analizzeremo più in profondità il profilo di Kamala Harris –, ma diventa opportuno sottolineare che secondo il censimento 2020 la porzione di popolazione statunitense che si considera «multirazziale» è il segmento demografico che è cresciuto di più in dieci anni, con un aumento a ritmi frenetici del 276%. In compenso potrebbe essere l’immigrazione l’anello debole della campagna Harris-Walz: qui i repubblicani possono vantare un maggior credito, fosse anche solo retorico, rinvigorito dagli scarsi risultati di Harris, a detta di molti, sul dossier che le era stato affidato da Biden. Almeno in questa iniziale fase della sua avventura da candidata alla Casa Bianca, però, Harris non si è sottratta dall’affrontare l’argomento, per giunta attaccando proprio Trump.

L’economia statunitense è l’altro tassello fondamentale, al solito il più rilevante. In generale gli Stati Uniti godono di buona salute, ma non sono mancati i segnali critici. Tenere sotto controllo l’inflazione, che ha morso in larga parte gli strati sociali più svantaggiati (favorendo una percezione di difficoltà in diversi angoli del paese), non è stato semplice. Il crollo delle borse che si osserva in questi giorni è, forse, una reazione spropositata degli operatori alle incertezze sulla tenuta economica dell’America – ha destato preoccupazione, ad esempio, la creazione di posti di lavoro sotto le attese (+114 mila a luglio), circostanza che potrebbe avere a che fare con fattori non per forza anticipatori di un’eventuale recessione –, ma pur sempre un elemento che Harris (in definitiva con Biden) dovrà “governare” in questo scorcio di campagna elettorale. 

Come si è arrivati a “Kamala Harris for president”? L’aspetto curioso è che la narrazione della campagna elettorale si è tutta d’un tratto capovolta, perché allo stato ora è Donald Trump il candidato più anziano di sempre. È innegabile, comunque, che il dibattito tra Biden e Trump, a fine giugno, fu un autentico campanello d’allarme, in grado di avviare su più livelli pressioni affinché il presidente si ritirasse dalla corsa. Tutto questo in un quadro di crescente impopolarità, riassunta dal Pew Research Center: il tasso di approvazione complessivo nei confronti di Biden è sceso di 11 punti, dal 55% al ​​44%, tra luglio e settembre 2021. Da allora non è mai stato in territorio positivo. A sua volta, Kamala Harris non può essere definita una vicepresidente particolarmente amata, eppure, abbiamo visto, da candidata le sta riuscendo l’impresa di ricreare entusiasmo: non era così scontato. Oggi la polemica tra Harris e Trump gira intorno al prossimo dibattito tv: in teoria era già previsto il 10 settembre su ABC, ma l’ex inquilino della Casa Bianca ha rilanciato per farlo il 4 settembre su Fox News. Harris ha risposto di no, lasciando per il momento la faccenda in sospeso.

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