Usa 2012. Una doppietta determinante per Romney
Ancora una tappa (anzi due), nella marcia di avvicinamento alle presidenziali di novembre, con una doppietta per Romney, un uno-due che potrebbe essere determinante nella “partita a scacchi” contro Santorum.
Due gli appuntamenti di quest’inizio settimana: domenica primarie solo repubblicane (per i Democratici voto più in là) nel territorio di Portorico; “piatto forte” martedì, con le primarie di entrambi i partiti in Illinois, lo Stato di Obama.
Partiamo proprio dall’Illinois: anche nello Stato che ha per Capitale Springfiled, tra i Democratici Obama correva senza avversari. Tra i Repubblicani invece, vittoria per Romney, al 46.7% che stacca Santorum, il quale tuttavia cade in piedi col 35%; ancora, terzo Ron Paul, col 9.3%; ennesima scoppola (8%), infine, per Gingrich, l’1% a candidati già ritiratisi e/o minori.
Il miliardario mormone vince facendo suo il voto moderato (che in questo Stato pesa) e cattolico; Santorum prevale tra gli evangelici (in Illinois meno determinanti che negli Stati vicini). Vittoria più ampia per Romney nell’area metropolitana di Chicago; con Santorum le aree rurali.
L’ex governatore del Massachusetts spezza, con questo risultato, la “maledizione” del Midwest, Regione dove aveva finora vinto (e di stretto margine) solo in Michigan e Ohio, e solo grazie alle metropoli, risultando, invece, sconfitto (in molti casi per ko) negli altri Stati. Anche ieri ha vinto grazie al voto metropolitano, il cui peso in Illinois è evidentemente maggiore che negli altri Stati sopra menzionati.
Passiamo a Portorico, territorio caraibico, dalla fortissima presenza ispanica (75%) e dal comportamento elettorale bifronte: come gli altri territori che non sono degli Stati (Distretto di Columbia, Isole Samoa, Guam, Isole Marianne, Isole Vergini), Portorico invia un delegato (senza diritto di voto) in Congresso, e partecipa al processo di selezione delle primarie (ma non alle presidenziali vere e proprie, nelle quali l’unico territorio che vota è il Distretto di Columbia, ossia la Città di Washington/DC). Bene, per il delegato alla Camera, vincono di gran lunga i Democratici; mentre il governatore è Luis Fortuno (del Nuovo Partito Progressista Portoricano, gemellato coi Repubblicani, di cui Fortuno è membro) sul quale correvano voci (smentite dal diretto interessato, tiratosene fuori) di interesse per la corsa alla nomination repubblicana.
La condizione (la nascita in territorio americano) per candidarsi alle presidenziali, è rispettata anche da chi nasce a Portorico, o in altri territori non statali: tanto che McCain, avversario di Obama nel 2008, nato nel territorio del Canale di Panama, all’epoca (1936) possedimento americano, poté tranquillamente candidarsi.
Portorico voterà, per la terza volta in trent’anni, su un referendum che ne vorrebbe fare il 51° Stato Usa. Nelle precedenti occasioni (1984 e 2000) la richiesta fu respinta dagli abitanti dell’arcipelago; vedremo come andrà a novembre.
E siamo ai risultati delle primarie: la numerosissima presenza ispanica consegna a Romney una vittoria a mani basse (84.7%), su Santorum, fermo all’8.2%. Le briciole agli altri candidati: Gingrich, solo quarto, è al 2.1%, superato anche da Buddy Roemer, candidato minore, (2,3%); solo sesto infine, all’1.2%, Ron Paul, che subisce il sorpasso anche di Fred Karger, altro candidato minore (1.5%).
Dalle parti di San Juan e dintorni, si è rivelato un autogol clamoroso per l’ex Senatore italoamericano l’essersi espresso, a proposito del referendum di novembre (sull’ingresso di Portorico nell’Unione), per il si, ma solo a condizione che il territorio adotti come prima lingua l’inglese. Tale mossa è sembrata una gratuita provocazione anti ispanica: atteggiamento, questo, non isolato nel partito (si pensi alle leggi durissime sull’immigrazione; al no a qualsiasi regolarizzazione per chi, clandestino, già lavora negli States; ai tentativi di mettere i bastoni tra le ruote ai latinos su vari fronti) che contribuisce a far chiudere i Repubblicani in una torre d’avorio e non permette loro di guardare alla realtà cambiata dell’America del XXI secolo.
Gli ispanici sono l’etnia del futuro: hanno già superato (dati dell’ultimo censimento) gli afroamericani a livello nazionale; aprirsi a loro permetterebbe ai Repubblicani di sfruttare grandi potenzialità nel conservatorismo etico delle minoranze (latinos, ma anche neri) su aborto, gay, che spianerebbe al Partito dell’Elefante una highway (autostrada larga americana). La chiusura ai latinos, per cecità ed incapacità di una visione di lungo respiro, potrebbe, invece, costare carissima al partito che fu di Lincoln.