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Romney vs. Obama

di Antonio Caputo

Ci siamo occupati un po’ meno della campagna per le primarie americane, a partire dal momento del ritiro di Santorum, più o meno intorno a Pasqua, dato che, certa sin dall’inizio in campo democratico la nomination per Obama, la partita si era di fatto chiusa anche sul versante repubblicano: Santorum era il più forte sfidante per il favorito Romney, e col suo abbandono della corsa, gli sviluppi della situazione non lasciavano più margini per possibili sorprese.
Qualche sorpresa però si è manifestata nelle scorse settimane, ed in parte ne abbiamo dato conto su queste colonne, a proposito di Obama e delle sue difficoltà in alcuni Stati soprattutto del Sud, Stati in cui non riusciva a far breccia tra l’elettorato, e che vedevano forti percentuali per gli sfidanti minori, o per il voto neutrale (uncommitted), dato inusuale per un Presidente alla riconferma.
Diamo ora conto di altri tre Stati, tutti del Sud, regione nella quale Obama continua a riscontrare le maggiori difficoltà; Stati che sono andati al voto in questi giorni per le primarie: martedì della settimana scorsa Arkansas e Kentucky, questo Martedì il pesantissimo Texas.
Andiamo con ordine: in Arkansas, lo Stato dell’ex Presidente Bill Clinton, così come in Kentucky, tra i Repubblicani stravince Romney, che però si “ferma” a circa i due terzi dei voti, lasciando sul terreno qualcosa (attorno al 13% in ambedue gli Stati) per il libertario Ron Paul, ancora in gara, ed il 20% circa per i conservatori Gingrich e Santorum (già ritiratisi), più in Kentucky una fetta di voto neutrale (uncommitted). Uno scenario già visto in altri Stati, a partire dal ritiro di Santorum, e che ormai non fa quasi notizia. Le sorprese però continuano a venire dai Democratici: una partecipazione al voto importante, ma Obama che soffre, (pur vincendo) la presenza di candidati minori, e del voto neutrale. Tanto in Arkansas, quanto in Kentucky, Stati dove quattro anni fa fu peraltro nettamente battuto da Hillary Clinton, il Presidente non va oltre il 58% dei voti, lasciando a John Wolfe in Arkansas, ed al voto neutrale in Kentucky il rimanente 42%, ossia 3 elettori su 7.
Il voto in Texas ha per i Repubblicani mostrato il classico schema: poco più dei due terzi dei voti a Romney, 12% a Paul, poco meno del 20% a candidati già ritiratisi e al voto neutrale; sembrano ormai risultati fotocopia in tutti gli Stati da circa un mese a questa parte. Al solito, Paul fa un po’ meglio nelle città: Houston e soprattutto la progressista Capitale Austin, (ma non tanto a Dallas, né nelle “ispaniche” El Paso e San Antonio). Con la vittoria nel pesantissimo Texas, Romney conquista i delegati che gli mancavano per garantirsi matematicamente la nomination; una candidatura cercata senza successo già quattro anni fa, ed ottenuta non senza qualche difficoltà (con sofferenze soprattutto tra l’elettorato più conservatore) quest’anno. Candidatura per la quale sarà “incoronato” durante la Convention di fine Agosto a Tampa (in Florida).
Per i Democratici, Obama si riprende in Texas i suoi voti, ma lascia sul campo comunque l’11% (un dato già registrato ad esempio in Missouri) a beneficio di candidati minori. Arkansas, Kentucky e Texas non sono realmente in palio, così come altri Stati (West Virginia, Louisiana, Oklahoma e Alabama) nei quali episodi simili si erano già verificati nei mesi scorsi: si tratta di competizioni nelle quali Obama non ha chances contro Romney, e pertanto poco importa. Ma un analogo discorso non lo si può fare per altri tre Stati (Missouri, New Hampshire, North Carolina), nei quali Obama ha mostrato segni di sofferenza alle primarie; tutti Stati dove i sondaggi (tranne forse in Missouri, dove il candidato repubblicano parte in vantaggio) indicano partita aperta, ed assai incerta. La North Carolina oltretutto sarà lo Stato che ospiterà (a Charlotte, la sua città più popolata) la Convention democratica di inizio Settembre; Convention alla quale Obama potrebbe arrivare col danno (solo d’immagine, ma non è poca cosa nelle campagne elettorali americane) di queste spine nel fianco, di elettori democratici ribelli, che gli hanno votato contro alle primarie. Un fattore di debolezza, insospettabile in quella che fino a poche settimane fa era sembrata una corazzata inaffondabile.

 

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