Tasse senza padri
Non c’è bisogno di scomodare un principio antico, nessuna tassazione senza rappresentanza (politica). Qui siamo addirittura sul fronte opposto: nessuno, ma proprio nessuno dei candidati alle elezioni, o dei loro schieramenti, finora, si è dichiarato padre di qualche imposta. Come dire: le tasse sono una categoria dell’arte di governo, ma con la particolarità unica, nel mondo, di non avere genitori.
Prima c’è stato il capitolo Imu, l’imposta sulla casa tornata nel 2012 che il leader del Popolo della libertà, Silvio Berlusconi e il premier, Mario Monti, hanno attribuito l’uno all’altro. Poi è arrivato il redditometro, che nell’oscuro linguaggio delle tasse si chiama «accertamento sintetico di tipo induttivo». Il presidente del Consiglio lo ha definito, abbandonando la cautela delle parole, una specie di «bomba a orologeria» lasciata in eredità dal Cavaliere. E si è spinto fino ad affermare che, fosse per lui, non l’avrebbe mai varato. Berlusconi si è affrettato a spiegare che il suo redditometro era completamente diverso. Un malvezzo antico, quello dei politici, di parlare delle tasse come piovessero dal cielo. Quasi fossero una specie di epidemia tollerata, ma non voluta.
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