L’inflessibile Maggie, lady di ferro
Nel 2010 l’inflessibile Maggie fece il suo ultimo ingresso al numero 10 di Downing Street per la gioia di giornalisti e vecchi sostenitori. Lei, Maggie, la “Lady di Ferro”, mostrò in quell’occasione un’oggettiva difficoltà anche solo a camminare. Da un bel po’, infatti, non si vedeva in pubblico a causa delle precarie condizioni di salute. Eppure, la signora Thatcher (nata Margaret Hilda Roberts e futura baronessa), è continuata ad essere un punto di riferimento, nel bene o nel male, per tutti gli abitanti del Regno Unito. Una volta, durante il consueto question time, il leader laburista Ed Miliband si rivolse al premier conservatore David Cameron – chissà, magari pensando di cogliere nel segno – etichettandolo quale “figlio della Thatcher”. Mai affermazione fu più sfortunata. Cameron non ci pensò troppo su: “Meglio essere figlio della Thatcher, che pupillo di Gordon Brown”. Ovazione da stadio per l’inquilino di Downing Street.
Il pubblico più giovane ha con ogni probabilità scoperto la figura di Margaret Thatcher attraverso l’interpretazione magistrale di Meryl Streep nel film The Iron Lady, in cui si ripercorre l’ascesa politica della prima ed unica donna ad avere ricoperto il ruolo di primo ministro (dal 1979 al 1990) nel Regno Unito. Divenne ben presto famosa per i modi duri e decisi, tanto da farla apparire ai suoi detrattori fredda e senza scrupoli. I fatti per cui viene maggiormente ricordata sono arcinoti e citarli ora equivale piuttosto ad un esercizio di scuola, superfluo e tuttavia necessario: gli scontri (nel vero senso della parola) con i minatori dello Yorkshire a cavallo tra le due metà degli anni ’80 e la guerra con l’Argentina che osò invadere le isole Falkland nel 1982. Eventi che avrebbero potuto mettere al tappeto qualsiasi leader e che invece rappresentarono il viatico ad un lungo periodo di politiche poi ribattezzate “thatcheriane”. Il thatcherismo appunto, una fusione del conservatorismo con il liberismo, che ha caratterizzato la vita della Gran Bretagna degli anni successivi. Capace di obbligare personalità à la Tony Blair ad uscire dall’alveo del laburismo vecchia maniera e ad abbracciare la visione del New Laboour, che di certo non buttò ciò che di buono restava di quel periodo. Anzi.
Della signora Thatcher, Blair ne parla nel suo libro autobiografico, Un viaggio, in questo modo: “Era stata al cento per cento dalla parte della storia nel riconoscere che, essendo la gente diventata più prospera, voleva essere libera di spendere come preferiva e non voleva che uno Stato invadente le impedisse di farlo e la costringesse all’uniformità nel nome di uno squallido e ottuso monopolio del potere. Era lampante che la competizione alzava i livelli qualitativi e che le tasse erano incentivi al contrario. Negarlo significava ignorare la natura umana”. Il thatcherismo fu soprattutto una riscoperta dello spirito e dell’ambizione imprenditoriali. La differenza con il New Labour, tiene però a precisare Blair, stava nella scarsa cura del capitale sociale che l’aveva tenuta distante da una diversa fetta della storia. Margaret Thatcher aveva uno scopo che prevedeva una ricetta semplice: condurre la Gran Bretagna verso una nuova rivoluzione capitalista, incentivare i cittadini a produrre ricchezza, farli pagare il giusto e obbligare lo Stato a spendere i soldi dei contribuenti nel miglior modo possibile tagliando la spesa là dove appariva opportuno. Niente di più, niente di meno. L’ostinazione della Thatcher, a braccetto con Reagan negli Stati Uniti, fu la visione, pur con tutti i suoi limiti, di un mutamento lento che stava coinvolgendo l’Occidente fino alla crisi di identità dei giorni nostri. Una medicina amara, certo, ma dagli esiti immediati.
Margaret Thatcher è morta a Londra lunedì 8 aprile colpita da un ictus. Aveva 87 anni.
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