Il ricordo di Enzo Tortora
Venticinque anni fa, per la precisione il 18 maggio, moriva Enzo Tortora, uno dei fondatori della tv italiana, conduttore, giornalista e, in seguito, uomo politico. Classe 1928, genovese, di carattere sobrio e schivo, esordisce giovanissimo nello spettacolo; intensa la sua vita sentimentale: due matrimoni (da cui ebbe tre figlie) alle spalle, e diverse altre donne, l’ultima delle quali sarà Francesca Scopelliti, in seguito attivista e senatrice radicale.
Milanese di adozione, entra in Rai (radio) nel 1951, in tv dal 1956; tra i primi successi, Campanile Sera, di Mike Bongiorno, in cui era inviato nelle città del Nord, La Domenica Sportiva (che innoverà in profondità) e Giochi senza Frontiere.
Espulso dalla Rai nel 1969 dopo un’intervista in cui ne criticava i vertici (la sua schiettezza non gli procurava simpatie nello spesso ipocrita mondo della tv), Tortora approda alle emittenti private, oltre a collaborare con vari giornali.
Rientra sulla neonata Rai 2 nel 1976/77, con Portobello, uno dei più strepitosi successi tv di sempre. Nome del programma (ispirato al celebre mercato) e scenografia (l’orologio che scandiva i tempi: “Big Ben ha detto stop” era il congedo del conduttore) richiamavano la capitale inglese. Al successo contribuirono le innovative idee di Tortora, fonte d’ispirazione per futuri programmi (C’è posta per Te, Chi l’ha visto, I Fatti Vostri, I Cervelloni, Carramba) alcuni tuttora in onda. Oltre al conduttore (e al pappagallo), protagonista era “la gente”, ai cui casi Tortora si dedicava scrupolosamente. Era una tv composta e reale, diversa da quella, costruita ed urlata, dei reality.
Al culmine dell’ennesimo successo giunge, come uno tsunami, il suo arresto, all’alba del 17 giugno 1983, con l’accusa di camorra. Si innescò così il circuito mediatico giudiziario che investì “un uomo perbene”. L’inchiesta, della Procura di Napoli, portò all’arresto di oltre 800 persone (i due terzi poi scagionati); allo show mediatico contribuì l’esibizione di Tortora in manette a mezzogiorno, in tempo per poterlo mostrare nei tg dell’ora di punta.
L’indagine partì con l’arresto del camorrista Giuseppe Puca a casa dell’amante, nella cui agenda c’era il nome di Enzo Tortona, ex compagno di lei; gli inquirenti, scambiando Tortona con Tortora, diedero vita ad un marchiano errore. A seguito di ciò, i magistrati chiesero conferma dell’appartenenza alla camorra del presentatore, al pentito Giovanni Pàndico, ed egli, per vendicarsi della vicenda dei centrini (Pandico scrisse dal carcere tempo prima a Portobello, inviando dei centrini da vendere, che andarono perduti; Tortora scrisse una lettera di scuse: tale scambio verrà usato come prova dei rapporti tra i due), confermò le accuse. Pandico nominò Tortora solo dopo aver visto il nome errato sull’agenda, mai prima. In seguito, si apre il carosello dei pentiti, tra cui Pasquale Barra, pluriomicida, e Giovanni Melluso, condannato qualche giorno fa, per reati di prostituzione. Non bastasse, si aggiungono le calunnie di una coppia, il pittore milanese Giuseppe Margutti e sua moglie, che per farsi pubblicità accusano Tortora di spaccio di droga per il periodo in cui lavorava in una tv privata.
Al conduttore, in carcere fino al gennaio 1984, i media riservano un trattamento a dir poco discutibile: molti giornalisti si appiattirono sulle tesi dell’accusa, anche perché gli inquirenti passavano loro le carte (destinate a restare segrete). Insomma, supporto mediatico alle inchieste, in cambio di notizie riservate. Dal linciaggio si sottrassero in pochi, coraggiose eccezioni al conformismo: Leonardo Sciascia, Piero Angela, Giuliano Ferrara, Vittorio Feltri, Enzo Biagi. Tra le accuse giornalistiche (non giudiziarie) persino quella di essersi intascato i proventi di una raccolta fondi per l’Irpinia: “E’ un massacro morale!”, tuonò allora Tortora.
Ai domiciliari per ragioni di salute, nel 1984 accetta la candidatura alle europee propostagli dai radicali. La sua popolarità resiste al tritacarne: mezzo milione di preferenze (su 1.200.000 per il partito) ed elezione a furor di popolo; del tre e mezzo percento (uno dei migliori risultati per i radicali) l’uno e mezzo furono suoi voti personali (sufficienti da soli a fare un seggio); voti che, presentandosi egli in un’altra lista, sarebbero stati, forse, di più (ad es. tra i cattolici).
Drammatiche le fasi del processo: il pm Diego Marmo parla dell’elezione di Tortora “coi voti della camorra”; al che il presentatore grida “E’ un’indecenza!”, subendo per ciò un’incriminazione per oltraggio al magistrato. L’Europarlamento, però, respinge la richiesta di autorizzazione a procedere, ravvisando in quelle parole il fumus persecutionis.
In primo grado la condanna è pesante: dieci anni di reclusione, per camorra e droga, a seguito della quale il presentatore si dimette da eurodeputato e torna ai domiciliari, non volendo approfittare dell’immunità (da lui ribattezzata “impunità”).
Altrettanto drammatico il processo d’appello, con Tortora che cerca (invano) di spostare il dibattimento, per il legittimo sospetto che il Tribunale di Napoli fosse prevenuto. Il presentatore conclude la sua difesa gridando “Sono innocente! Lo grido da tre anni, lo gridano le carte … Io sono innocente; spero, dal profondo del cuore, che lo siate anche voi!”
Il 15/9/1986 la Corte d’Appello di Napoli assolve Enzo Tortora dall’accusa di camorra per non aver commesso il fatto e da quella di droga perché il fatto non sussiste. Nella sentenza, Pandico viene definito “inattendibile, discutibile, equivoco … portato a mistificare essendo un mitomane deviante”. L’assoluzione è con formula piena, senza ombre e verrà confermata, a quattro anni dall’arresto, il 13 giugno 1987, in Cassazione. Per chi voglia approfondire la vicenda, si segnala il libro di Vittorio Pezzuto Applausi e sputi – Le due vite di Enzo Tortora.
Il ritorno in tv, con Portobello, avviene nel 1987. Si nota la sofferenza, unita alla commozione per l’affetto del pubblico, un lungo applauso in piedi, da lui interrotto con le celebri parole: “Dunque, dove eravamo rimasti? Potrei dire tantissime cose e ne dirò poche; una me la consentirete: molta gente ha vissuto con me ha sofferto con me in questi terribili anni; molta gente mi ha offerto quello che poteva, per esempio ha pregato per me e io, questo, non lo dimenticherò mai! E questo grazie a questa cara, buona, gente, dovete consentirmi di dirlo. L’ho detto e un’altra cosa aggiungo: io sono qui e lo so, anche per parlare per conto di quelli che parlare non possono, e sono molti, e sono troppi! Sarò qui, resterò qui, anche per loro. E ora cominciamo, come facevamo esattamente una volta”.
Ma “la bomba atomica che mi è esplosa dentro” provocherà un – fatale – tumore al polmone, che gli impedirà di proseguire a lungo: Big Ben dirà stop per lui il 18 maggio 1988; ai funerali la sua “buona gente” riempie la Basilica di S. Ambrogio.
Cremato, le sue ceneri si trovano al Cimitero Monumentale di Milano, con l’urna in una colonna con su scritto “Che non sia un’illusione”.
L’anno scorso va in onda su Rai 1 la fiction intitolata Il caso di Enzo Tortora – Dove eravamo rimasti? che suscita polemiche tra i familiari del conduttore, anche per non aver citato i nomi dei magistrati inquirenti, Lucio Di Pietro e Felice Di Persia, i quali ebbero, successivamente, una regolare progressione di carriera.
Alla vicenda fa seguito (1987) il referendum sulla responsabilità civile dei magistrati: il SI passa con l’80%. La legge che ne segue, trasferisce allo Stato la responsabilità (per tutelare l’indipendenza dei giudici); ma non essendo retroattiva, la famiglia Tortora non fu risarcita: per quest’incredibile errore, nessuno ha pagato.
Neppure da morto Tortora ebbe pace: nel 1992 Melluso ribadisce le accuse; querelato dalle figlie del presentatore, fu prosciolto dal Gip di Milano, Clementina Forleo, con la motivazione per cui “l’assoluzione di Tortora è una verità processuale, non quella reale”. Tra i tanti giornalisti che linciarono Tortora, Paolo Gambescia è l’unico ad aver chiesto scusa: “Ho contribuito a distruggere un uomo”.
Ho sempre pensato, ancor prima della vicenda, che Enzo Tortora fosse un Signore, più che per bene.
Qualunque persona di buon senso (non necessariamente colta, ma bensì intelligente), guardando in faccia i due magistrati inquirenti ed anche la Forleo stessa, con la sua motivazione spregevole, dopo di che, confrontandola con quella del Sig Enzo Tortora, non avrebbe nessun dubbio in merito alla distinzione fra uomini veri ed uomini spregevoli.
Caro dott. Melluso, devo dirle che mi era ancora molto dubbia la sua collocazione, ma dopo aver appreso quanto da lei fatto è diventata più che lampante.
Ho sempre pensato che dietro la cultura potesse celarsi, a volte, una grande ignoranza e quindi mancanza di buon senso!
Un abbraccio di cuore ad Enzo Tortora.
Adriano (Milano)