L’accordo sulla Siria
A seguito dei risultati raccolti dagli ispettori dell’Onu sull’uso di gas Sarin in territorio siriano è stato raggiunto, dopo lunghe negoziazioni, l’accordo tra i cinque membri permanenti dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito e Francia) per trovare una soluzione alla crisi di Damasco. Il punto cardine è che finché il presidente Bashar al Assad rispetterà i patti l’uso della forza non sarà “automatico”.
Per non ricorrere alla forza il governo di Damasco e le opposizioni dovranno distruggere tutte le armi chimiche e i depositi dove esse sono contenute.
“L’uso di armi chimiche costituisce una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale”, si legge nella nota dell’Onu. Il presidente Assad, intervistato da una tv venezuelana ha detto che “la Siria è impegnata a rispettare tutti gli accordi che ha firmato” e che quindi si procederà presto verso la distruzione delle armi. Ma, ha tuttavia aggiunto Bashar al Assad, “le possibilità di un’offensiva militare da parte degli Stati Uniti sono sempre presenti”.
Ovviamente, come vale per la Siria l’obbligo di non procedere più all’uso di armi chimiche, vale il divieto per ogni stato membro dell’Onu di fungere da fornitore. I dettami dell’Onu saranno controllati ogni trenta giorni dal momento del voto dei 15 membri che approverà la risoluzioni. La votazione si svolgerà al Palazzo di Vetro la notte tra venerdì e sabato (le 2 in Italia).
Per la distruzione dell’arsenale, secondo gli esperti del regime di Damasco, ci vorrà un anno o forse più e l’operazione costerà alla Siria circa un miliardo di dollari. A causa dei costi elevati per lo smaltimento ventilava anche l’ipotesi che avvenisse in territorio statunitense, sempre se, azzardava Bashar al Assad in un’intervista, “Washington è disposta a pagare il costo dell’operazione”.
Intanto le informazioni raccolte dagli Osservatori e dalle onlus che operano sul territorio parlano di numeri drammatici: dall’inizio della crisi sarebbero morte ben oltre 110 mila persone. Oltre 40 mila sarebbero civili, circa 22 mila ribelli e oltre 45 mila tra forze governative e milizie lealiste. Sono invece più di settemila i bambini morti e oltre un milione i rifugiati nei paesi confinanti. “Quasi sette milioni di abitanti – spiega Save the Children – sono caduti in povertà dall’inizio del conflitto. Nelle aree rurali della sola Damasco un bambino su venti è malnutrito e il 14% è già affetto da malnutrizione grave”.