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Il diario del Festival di Cannes/6

di Giampiero Francesca

mommySiamo ormai arrivati agli ultimi giorni di festival. Dopo più di una settimana di vita fra file, incontri, film, pasti fugaci e chiacchiere cinefile vediamo ormai all’orizzonte la conclusione di questa sessantasettesima edizione di Cannes. Ma come sempre, gli organizzatori hanno riservato, per le ultime proiezioni in concorso alcune fra le pellicole più interessanti. La scelta è dunque quasi obbligata e ci costringe a dedicare tutte le nostre attenzioni alla sezione principale della manifestazione.

Tre pellicole, estremamente diverse, ma tutte molto interessanti, hanno riempito il programma della sala Lumiérè. Fra queste, la più sorprendente, è Mommy di Xavier Dolan. Il regista canadese, già autore di culto per film come J’ai tue ma mere e Tom a la ferme porta al festival una pellicola dai toni drammatici, intensa e partecipata, priva dei suoi temi più classici (su tutti quello fino ad ora onnipresente del l’omosessualità), ma non per questo meno convincente. A differenza di molte altre opere viste in questi giorni Mommy colpisce diretto al cuore dello spettatore, emozionando sinceramente il pubblico.

Tanto emotivo Xavier Dolan quanto cerebrale JLG, Jean-Luc Godard. Fiumi di parole son già state dedicate al suo Adieu au language (e forse addio al cinema), opera criptica e concettuale che riprende forma e contenuti del suo precedente Film socialisme. Ci si potrebbe sbizzarrire nel provare a trovare significati, sottotesti, influenze culturali, citazioni in questo commiato del linguaggio, frantumato e (non) ricostruito da JLG. Sarebbe l’occasione perfetta per dimostrare la propria abilità dialettica, sciorinando coltissime e fantasiose interpretazioni. Sarebbe il pretesto ideale per marcare la differenza fra il vero intellettuale e chi, al massimo, può fingere di esserlo. Ma il gioco di Godard ci ha stancato. Sollevato il velo di snobismo cinephile che circonda l’autore di pellicole come Bande a part e Fino all’ultimo respiro quel che resta di Adieu au language è un omaggio che l’autore fa alla sua stessa (enorme) cultura, al culto del suo “nome” e dalla sua ideologia.

Se è un pregio si vuol comunque trovare nell’opera di Godard è la capacità di accendere, nell’animo degli accreditati, una vis polemica altrimenti sopita. Così, mentre attendiamo di entrare alla proiezione di The search di Michel Hazanavicius, non passiamo far a meno di sentire decine di pareri sulla pellicola appena vista. Per nostra fortuna il film del regista già autore di The Artist è molto più lineare e narrativo del precedente. Il remake di Odissea tragica di Fred Zinnemann, trasportato da Hazanavicius nella Cecenia contemporanea sembra posizionato nel programma appositamente per contrapposi a JLG. Tanto lineare da esser quasi prevedibile, diretto e fotografato con uno stile classico, che riproduce tutte le caratteristiche del cinema di guerra, il film (certamente non un capolavoro) si fa comunque apprezzare per la chiarezza e la genuinità della sua narrazione.

Ad un solo giorno dalla fine del festival un’idea su chi potrebbe vincere la palma d’ora iniziamo ad averla. Mancano però all’appello ancora tre pellicole, almeno una delle quali, Sils Maria di Olivier Assayas, potrebbe riservare grandi sorprese.

 

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