L’Italia che arranca e perde posizioni
Gli inviti della Commissione europea a non perdere il treno delle riforme, i dati Istat sulla disoccupazione, il rapporto di Confcommercio e le analisi di Confindustria. Tutti gli indicatori riportano ad un’unica realtà dei fatti, ovvero che l’Italia dei compiti a casa ha ancora molto da fare per risalire la china.
Già, perché non deve stupire il tasso di disoccupazione che nel trimestre si attesta ai livelli più alti dal 1977 – a pensarci bene sintomatico di un aumento costante negli ultimi anni – a fronte di un declino duraturo che ha colpito soprattutto le imprese e che ha reso il paese vulnerabile dinanzi alla concorrenza e alle capacità dei partner commerciali. Questo il quadro d’insieme che nello specifico emerge dal rapporto Scenari industriali del Centro studi Confindustria, come riporta il Sole 24 Ore.
Il calo produttivo medio, si legge nel documento, è stato del 5% tra il 2007 e il 2013 ed è valso il sorpasso ai nostri danni dell’India (che ora è al sesto posto) e del Brasile (adesso al settimo posto), cresciuti rispettivamente nello stesso periodo del 6,2% e dello 0,8%, nella classifica che il Centro studi Confindustria stila annualmente.
Inoltre, negli ultimi dodici anni – dal 2001 al 2013 – ben oltre un milione di addetti nel manifatturiero ha perso il lavoro a causa della chiusura di 120 mila imprese, costretta ad abbassare le saracinesche. Ne consegue che se tra il 2000 e il 2013, l’incremento dei volumi prodotti a livello mondiale è stato del 36,1%, l’Italia ha evidenziato una diminuzione del 25,5%, scendendo all’ottava posizione, mentre i primi posti restano occupati da Cina, Stati Uniti, Germania e Corea del Sud.
Cause del ritardo e possibili vie di ripresa
Confindustria individua tra le cause il calo della domanda interna, l’aumento del costo del lavoro, redditi al minimo. Tutti elementi che sembrano fare il paio con le considerazioni emerse dall’Assemblea di Confcommercio per cui consumi e investimenti mostrano l’altra faccia del Paese, ovvero quella di un’economia reale ancora “drammaticamente” ferma e che vede ampliarsi sempre più il divario economico-sociale tra il Nord e il Sud.
Eppure esistono elementi che dovrebbero far sperare. Ad esempio, nota il CsC, molte aziende sono ricorse a cambiamenti di tipo strategico e organizzativo al fine di riacquistare competitività e assicurarsi la presenza sul mercato nel breve e lungo periodo. Ed è proprio ripartendo dagli esempi positivi che si può tracciare una road map. Dice Confindustria, infatti, che si avverte la necessità di “vitali interventi tempestivi” per non perdere ulteriore terreno “nei confronti dei paesi concorrenti che già si sono avviati lungo questo percorso”. Rimettere al centro il settore manifatturiero anche con l’ausilio delle tecnologie, dalla digitalizzazione della manifattura alla connettività.