Le contraddizioni del Giappone
Mentre al termine del primo trimestre del 2014 le maggiori economie mondiali hanno riscontrato solo lievi aumenti, se non cali come gli Stati Uniti (-1%), il Giappone ha sorpreso tutti scansando le attese. Nei primi tre mesi dell’anno il Paese del Sol Levante ha infatti registrato una crescita annua del Pil del 6,7%, contro il +5,9% ipotizzato dalle stime preliminari (+1,6% sull’ultimo trimestre del 2013).
Una crescita trainata, oltre che dai consumi, dalla revisione al rialzo del tasso annualizzato degli investimenti di capitale delle imprese: +34,2% contro il 21% stimato in precedenza. Migliori le aspettative anche sul fronte dei consumi, rafforzati nel primo trimestre dall’aumento dell’Iva (dal 5% all’8%) scattato il primo aprile. Proprio a causa del rincaro dell’imposta sul valore aggiunto gli analisti per il secondo trimestre prevedono una contrazione dei consumi e del Pil. Solo ad aprile infatti la spesa delle famiglie giapponesi è scesa del 13,3%. Situazione che secondo il primo ministro Shinzo Abe, si ristabilirà già dal terzo trimestre dell’anno in corso.
Decisamente più negative le stime demografiche. Per l’Istituto nazionale di ricerca sulla popolazione, il Giappone, che ad oggi conta 128 milioni di unità, vedrà la sua popolazione scendere sotto i 100 milioni entro il 2048, per dimezzarsi ancora nel corso del prossimo secolo. Il basso tasso di natalità del Giappone è legato alle scarse politiche assistenziali presenti nel Paese e agli scarsi successi ottenuti nel campo degli incentivi del mercato del lavoro. Nel Paese infatti, sono ancora troppo scarse le agevolazioni destinate alle madri lavoratrici (asili per esempio), mettendo le donne nella condizione di dover lasciare il lavoro, lasciando solo all’uomo la possibilità di guadagnare per garantire un sostentamento, sempre più difficile, alla famiglie. In questo senso si sta muovendo il Primo ministro Shinzo Abe, cercando di dare una risposta alla scarsa presenza di donne nel mercato del lavoro giapponese. Dall’ultimo censimento, del 2010, è emerso che solo il 44,8% della forza lavoro femminile ha effettivamente una professione, a fronte di un tasso di disoccupazione pari al 3,6%.