Il treno della discordia fischia in Val di Susa
Da lunedì mattina i giornali stanno aggiornando costantemente gli avvenimenti in Val di Susa dove le forze dell’ordine hanno scortato dalle prime ore le ruspe per il via ai lavori della Tav, la linea ferroviaria ad alta velocità che collegherà Torino e Lione. È nella zona della Maddalena, dove sorgerà il cantiere, che sono avvenuti gli scontri con gli attivisti No Tav. L’area, infatti, era occupata dai manifestanti da maggio e negli ultimi giorni diversi esponenti di governo avevano spiegato che i lavori avrebbero preso inizio entro la fine di giugno onde evitare la perdita del finanziamento (si parla di centinaia di milioni di contributi) da parte dell’Unione europea. Pochi organi di informazione, tuttavia, hanno spiegato il perché delle ragioni di una tale protesta (che va avanti da anni, oltretutto, tra accordi presunti e dialoghi spesso interrotti anzitempo) e le eventuali posizioni politiche al riguardo. Iniziamo con il dire che il progetto è considerato assolutamente strategico dall’Unione europea, in termini economici e ambientali. La possibilità di ridurre (e di molto) il traffico permetterebbe ad esempio, alla Val di Susa di respirare aria più pulita oltre a velocizzare gli scambi commerciali. Una posizione, quest’ultima, respinta dai No Tav (all’interno vi sono anche molti amministratori locali) i quali sostengono esattamente la tesi opposta: il traffico non è sufficiente da giustificare un progetto così imponente che prevedeva, almeno nelle intenzioni iniziali, una grande quantità di cantieri, nuovi tunnel e dunque un maggiore impatto ambientale. Per non parlare, in aggiunta, dei costi per la realizzazione considerati fin troppo esosi.
Di qui l’imponente protesta degli attivisti che per molte ore sono riusciti a bloccare la strada dell’Avanà, a Chiomonte. I presìdi sono stati poi forzati dalla polizia (anche grazie al lancio di fumogeni, mentre i contestatori avevano utilizzato allo stesso modo le pietre). Le agenzie di stampa hanno riferito dell’impiego di duemila e 500 uomini tra polizia, carabinieri, fiamme gialle e vigili del fuoco.
“Lo Stato non può assolutamente arrendersi di fronte a dei protestatari: la Tav è considerata una priorità”. Con queste parole il ministro per le Infrastrutture, Altero Matteoli, ha dato il la alle inevitabili polemiche che hanno seguito i disordini della giornata. “La Tav è un’opera fondamentale per lo sviluppo dell’Europa e un’infrastruttura importante per mantenere i collegamenti italiani a livello internazionale. Per questo è fondamentale che i cantieri partano entro fine mese per non perdere la quota di finanziamento europeo”, ha aggiunto la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. Secondo il leader centrista, Pier Ferdinando Casini, “non si può arrestare un’opera fondamentale per l’economia del Nord”. Antonio Di Pietro, pur considerando “le infrastrutture e l’intermodalità fondamentali per l’Italia”, ha ritenuto “altrettanto fondamentale e prioritario che le infrastrutture non si costruiscano con il manganello”. Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, si è detto contrario alle proteste estreme: “Non si può arrivare al blocco dei cantieri. Noi siamo contrari a che il processo di decisione venga bloccato da frange limitate”. Nichi Vendola, leader di Sel, si è scagliato invece contro la repressione delle proteste: “Inaccettabile l’idea che al dissenso legittimo delle popolazioni si debba rispondere con la violenza”. Infine, ad evidenziare quello che da tempo appariva già abbastanza lapalissiano è stato il sindaco di Chiomonte, Renzo Pinard: “Pensare che si potesse risolvere questa situazione con il dialogo significava essere eccessivamente ottimisti: i margini di trattativa erano inesistenti”.