Après moi le deluge!
e Salvatore Monni
Ci sarebbe voluto coraggio. Ci voleva per dare fiducia al paese, prima ancora che ai mercati, e anche i mercati se ne sarebbero accorti. Soprattutto sarebbero servite misure di sostegno alla crescita perché, in fondo, è anche quello che, solo la settimana scorsa, ha ricordato Standard & Poor’s: se il denominatore non cresce (PIL) è difficile mantenere sostenibile il numeratore (debito). Molte erano le cose che si potevano fare, alcune delle quali così spesso richiamate dalle istituzioni nazionali e internazionali, dai giornali e dagli esperti, che ormai sembrano essere diventate leggenda. Due tra tutte è utile ribadirle: aumentare la competitività e l’efficienza del sistema paese.
Un paese, l’Italia, che ormai fatica a competere anche su mercati e in settori tradizionalmente favorevoli. Vi era inoltre la necessità di migliorare la redistribuzione del reddito e ridurre le disuguaglianze di reddito ma anche di opportunità. In mezzo tante cose: dal ruolo della pubblica amministrazione fino al recupero dell’evasione fiscale. Senza dimenticare l’obbligo morale di eliminare le rendite che si annidano nella politica, non solo per recuperare capitali ma anche e soprattutto per dire al paese che se si chiedono sacrifici bisogna prima di tutto essere disposti a farli. E invece la manovra è ancora una volta di un misto di ticket sanitari, imposta di bollo sul deposito titoli, aumento dell’Irap delle banche fino ai tagli agli incentivi alle rinnovabili. A questo non dimentichiamolo vanno aggiunti, fuori dalla manovra, tutta una serie di aumenti di imposte scaricati su Regioni, Province e Comuni attraverso i decreti del federalismo fiscale e una “potenziale” riforma fiscale (Irpef e rendite finanziarie) che presumibilmente sarà introdotta in una legge delega con durata triennale e quindi con effetti nulli al momento. Insomma una volta ancora solo tagli e imposte e nessuna misura per la crescita. Tagli che colpiranno sostanzialmente sempre gli stessi e non solo i più privilegiati. Che andranno a colpire un paese dove il sistema della formazione e dell’istruzione è stato pesantemente penalizzato, dove gli indicatori di accesso al lavoro, soprattutto da parte delle donne e dei giovani stanno toccando i punti più bassi in Europa, dove fa fatica a diffondersi l’innovazione tecnologica. Una manovra basata sul tentativo, neanche troppo nascosto, di rinviare al 2013 il peso sostanziale dei tagli, quando si dovrebbe giocare il nuovo turno elettorale: dalla serie “après moi le deluge!”. Nel frattempo una generazione intera resta stritolata tra la precarietà e la disoccupazione, creando i presupposti per una crisi profonda e strutturale. È chiaramente la manovra di un Governo in agonia e diviso su tutto. Peggio di così non era facile fare.
Zero attenzione al Paese. Stanno solo creando l’arma da usare per le elezioni del 2014 o 2015 (quelle che seguiranno all’inevitabile caduta del prossimo governo di centrosinistra). Bene così!