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Chi lavora a Facebook

facebookFacebook mette potenzialmente in contatto milioni di persone in diverse parti del mondo. Fin qui nulla di nuovo, si sa. Il punto è che Facebook – i social network in generale, Facebook di più per il numero di iscritti – può diventare un ottimo strumento di condivisione e di incontro nonostante le differenze culturali, etniche o religiose. O almeno questo è uno degli impegni morali che la società di Mark Zuckerberg tenta di promuovere da sempre. Per un ritorno di immagine o reale convinzione poco importa, il fine è nobile. Il problema è che in Facebook, nel proprio organico cioè, appena il 2% dello staff è nero. Il 4% è di orgine ispaniche e il 3% di etnia mista. Il 55% è invece composto da bianchi e il 36% da asiatici. Precisazione doverosa: le persone impiegate nel settore tech, negli Stati Uniti, di norma sono soprattutto bianchi e asiatici, dunque la ripartizione demografica e occupazionale in Facebook – resa nota alcuni giorni fa dalla stessa società – non deve stupire. Eppure Facebook, che ritiene “vitale” avere una vasta gamma di punti di vista (persone di sesso diverso, razze, età, orientamenti sessuali), ammette un maggiore impegno in questo senso: “Avere una forza lavoro diversificata non è solo la cosa giusta da fare, ma la cosa più intelligente da fare per il nostro business”, hanno affermato dai piani alti dell’azienda.
Il divario è anche quello tra uomini e donne. Facebook, infatti, impiega in tutti i suoi segmenti per lo più uomini, che sono il 68%, mentre le donne sono appena il 32%. La peercentuale varia nelle posizioni non-tech, in questo ambito le donne rappresentano il 52% dei dipendenti e gli uomini il 48%. Tuttavia la situazione si capovolge di nuovo nei ruoli dirigenziali, occupati nel 77% dei casi da uomini e nel 23% da donne.
In questo periodo Facebook, oltre che a studiare nuovi modelli di business (l’ultima ipotesi è quella di entrare nel mercato dello streaming musicale e fare concorrenza a Spotify, Apple Music e Tidal), è attenta alle questioni legate alle minoranze e alle categorie sociali più deboli. Al punto da stravolgere i loghi per le richieste di amicizia: non più la sagoma maschile in primo piano, bensì quella femminile. Ma questa è un’operazione di facciata, il lavoro vero è da fare altrove.

 

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