I diritti spariscono nel lavoro sommerso
Le attuali migrazioni sono fenomeni complessi, destinati a trasformare profondamente l’assetto dei sistemi sociali contemporanei. Di fronte a questa pressione l’opinione pubblica oscilla tra eccessi di buonismo e atteggiamenti di esasperata intolleranza, mentre ancora manca un quadro esauriente del fenomeno che consenta di progettare politiche adeguate. Basti pensare che solo dal 2005 i dati ISTAT sulle forze lavoro contengono anche stime sulla partecipazione di manodopera straniera, colmando così una grave lacuna informativa in un contesto di crescente rilevanza del fenomeno.
Eppure il rapporto tra immigrazione e lavoro è quello che più rappresenta il fenomeno migratorio, coinvolgendo la natura stessa dei diritti civili. Un tema che riguarda, nella stessa misura, migranti e ospitanti. Ed è proprio su questi aspetti che si misura l’evidente contraddizione tra le buone intenzioni legislative, affidate a corposi apparati normativi, e la realtà del mercato del lavoro sommerso, alimentato, in misura crescente, dai flussi d’immigrazione clandestina.
I flussi migratori, in questi anni, si sono mantenuti costanti anche con tassi di disoccupazione elevati, a dimostrazione che le spiegazioni economiche del fenomeno, legate alla struttura duale e segmentata dei nuovi mercati del lavoro, mantengono tutta la loro validità. Il permanere di elevati tassi di disoccupazione, infatti, non ha fatto diminuire la necessità economica di convivere con l’immigrazione, facendo registrare una peculiare relazione tra economia post-fordista e ampliamento dell’economia sommersa e informale. Il mondo del lavoro irregolare è l’ambito all’interno del quale gli immigrati offrono una risposta – paradossalmente efficace – alle trasformazioni e alla deregolamentazione dei sistemi produttivi.
La presenza di una quota di economia irregolare si sta affermando come una caratteristica strutturale dei sistemi economici contemporanei, e il lavoro immigrato sembra fatto apposta per rispondere efficacemente a questo tipo di domanda.
Basti pensare all’esigenza, quasi fisiologica, di ricorrere al lavoro nero per abbassare i costi di produzione da parte delle imprese che operano in regime di subappalto, di fronte a sistemi di aggiudicazioni basati su forti rincorse al ribasso; oppure allo sviluppo di alcuni nuovi servizi come l’igiene, la cura degli anziani, l’assistenza ai bambini che hanno fatto crescere una domanda di lavoro ad alta flessibilità e a basso costo; o alla riduzione degli spazi economici per settori ad alta intensità lavorativa e a basso contenuto tecnologico, come le micro-imprese edili, l’agricoltura e il piccolo commercio al dettaglio.
Di seguito il quadro completo rielaborato dall’istituto di ricerca Tecnè. Qui l’articolo di Carlo Buttaroni, presidente Tecnè Italia, pubblicato su l’Unità del 30 gennaio.